Se sa solo comandare.
Se sa solo comandare
- Mantiene invariata la distanza con l’allievo.
- Non accetta contributi e cancella il desiderio e la capacità di pensare.
- Forma un succube o un autoritario.
- Ignora le motivazioni e il desiderio d’imparare, e non stimola l’assunzione di responsabilità.
- Cerca di stimolare con la paura, la minaccia, la disistima o la punizione.
- Non impara e non evolve, perché crede unica la propria idea.
- Blocca la creatività e l’iniziativa, perché dà tutto già pensato e deciso.
- Comanda, ma finisce per dover chiedere impegno e adesione.
L’autoritario camuffato
- Non impone, ma cerca adesione e consenso con la manipolazione.
- Cerca di offrire sicurezza con le parole e fa credere di contare.
- Offre opinioni precostituite e immutabili.
- Chiede partecipazione, ma si attende solo fedeli esecuzioni.
- Anestetizza il desiderio di sapere e provare.
- Resta troppo lontano per proporsi come modello.
Chi lascia fare
- Segnala norme e obblighi, ma non ne pretende l’assimilazione e lo sviluppo.
- Concede libertà e margini eccessivi e privi di controllo.
- Si aspetta e ottiene un impegno e un’adesione solo formali.
- Spesso era “l’allenatore dal pugno di ferro”, poi disarmato.
- Non ha autorità: accetta tutto, blandisce, tollera la trasgressione e compra l’adesione con concessioni.
- Sembra offrire responsabilità e stima, ma non è un riferimento, e ottiene solo anarchia.
- Forma un viziato che rimane immaturo.
- Se “si arrabbia” è disarmato.
Il padre buono
- Sottrae responsabilità, e quindi non allena ad assumerle.
- Non allena a pagare le conseguenze dei comportamenti.
- Fa tutto e dà tutto pronto, ma non chiede di fare e non prepara a costruirsi soluzioni e categorie di pensiero.
- Non dà coraggio e rende dipendenti.
- Conduce per mano perché crede gli allievi incapaci di autonomia.
- Difende da dubbi, imprevisti, disagi, doveri e regole.
- Non allena alla responsabilità e scivola in una conduzione permissiva.
- Elimina le difficoltà, e quindi non prepara ad affrontarle.
Chi s'accontenta di vincere
- Insegna solo ciò che serve per vincere ora, lecito o illecito, ma non prepara a vincere in futuro.
- Si regola sull’avversario e non sulle forze della squadra.
- Opprime con attese angosciose e aumenta la paura di perdere.
- Trasforma il gioco in un mezzo utile subito, e non in un obiettivo.
- Attribuisce agli allievi motivazioni e desideri propri.
- Fa usare solo i gesti collaudati e non lascia creare.
- Premia la vittoria comunque ottenute e valuta la sconfitta un demerito o una colpa, e quindi non allena la critica.
- È vulnerabile, poiché dipende da allievi non allenati a essere responsabili.
Chi corregge senza modificare
- Non considera e non porta a capire le cause e le finalità dell’errore.
- Agisce solo sulla condotta esteriore e non stimola a capire e cambiare.
- Se punisce e umilia, crea ostilità e motivi di vendetta.
- Convince l’allievo di subire imposizioni o castighi ingiusti ai quali è giusto opporsi, e così rende “lecita” la trasgressione.
- Se riesce a essere convincente, ottiene la sottomissione e l’imitazione, ma non la responsabilità.
Chi usa la punizione
- Vuole stimolare, ma umilia e deteriora il rapporto.
- Rende inefficaci gli interventi corretti.
- Procura ostilità e risentimenti spesso definitivi.
- Fa il gioco di chi paga la scarsa applicazione e la sfida facendosi punire.
- Danneggia soprattutto il “talento”, che può diventare un ingegnoso distruttivo.
- Se l’allievo resiste, si deve arrendere e perde autorità.
- È condizionato dall’allievo che cerca la punizione per sfidare, avere attenzioni o essere protetto.
Chi non appartiene allo sport
- Umilia rilevando l’incapacità e i limiti dell’allievo.
- Gli manifesta disistima e disprezzo.
- Commette ingiustizie o non tiene conto dei suoi sentimenti.
- Sfoga su lui i propri problemi e fallimenti.
- Lo incolpa per giustificare le proprie decisioni.
- Lo usa per il proprio vantaggio, a volte senza badare ai danni.
- Non si sa liberare dal pessimismo pedagogico: “Sono solo muscolari” o “La scuola danneggia”.
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