agonismo e competizione

  • Buongiorno. Vorrei mettere sull’avviso i genitori che come me hanno un figlio iscritto a una scuola calcio nella categoria “pulcini”, che dovrebbe essere non agonistica.

  • Lo stimolo all’aggressione inizia quando un agonismo prematuro, eccessivo e sbagliato impone un'attività nella quale:.

    • l'unico obiettivo è la vittoria ottenuta con qualsiasi mezzo e sotterfugio;
    • si preparano gli atleti e la gara con gli stessi sistemi che s'impiegano con gli adulti;
    • si chiedono prestazioni superiori alle possibilità attuali senza curarsi di formare la persona, che è condizione essenziale per avere lo sportivo completo nell'età adulta;
    • è necessario gareggiare sempre con la bava alla bocca e in condizioni psicologiche esasperate e, in definitiva, contrarie al miglior rendimento.

    Tutti questi eccessi influenzano il giovane procurandogli lesioni nel carattere, che poi si porta dietro anche dentro e dopo lo sport, come avviene per certi miti e comportamenti che, invece, lo sport potrebbe cancellare. Per esempio,

    • Il mito dell'uomo forte, del guerriero che maschera i sentimenti o s'impone di non provarli quando è lesivo verso gli altri;
    • il rifiuto di accettare ostacoli tra sé e i propri obiettivi;
    • l'avversario come nemico da umiliare e sconfiggere, da degnare neppure di uno sguardo dopo averlo atterrato con violenza e vigliaccheria o peggio, come dice il "devi morire" dei cori da stadio;
    • la negazione di sentimenti come la disponibilità, il rispetto o la comune correttezza, che diventano debolezze e vantaggi per gli avversari;
    • la violenza come giusto agonismo che dà il diritto a ricorrere a qualsiasi scorrettezza;
    • la giustificazione dei propri insuccessi con ogni tipo d’ingiustizia e supposte trame che non ci sono mai quando si vince, o con le scuse più scoperte, pur di non assumersene la responsabilità;
    • la vendetta subito consumata nei confronti dell'avversario, magari solo perché ha vinto un contrasto.

    Tutto ciò non significa che l’aggressività e l'agonismo siano di per sé negativi, e anzi, se mancano, non vi è neppure sport, ma non possiamo accettare l’aggressività lesiva e l’agonismo prematuro, esasperato, scorretto o carico di ansia e di obbligo di vincere proposti ai giovani.

    Il discorso vale anche per tanti genitori molto più accaniti degli allenatori. Il figlio è il gioiello da mostrare, la soluzione di tutti i problemi, il più forte di tutti e, quando non ce la fa, la vittima di ogni ingiustizia, e allora anche la violenza più torva è un modo lecito per diventare campioni.

    L'aggressività, quindi, è un fattore negativo quando ha direzione e intensità non controllate. La direzione, quando non rispetta l'integrità fisica e psichica propria e dell'avversario o quando, addirittura, vuole essere distruttiva. L'intensità, quando tutta questa carica fisica ed emotiva supera il limite oltre il quale si trasforma in affanno e stress, e diventa negativa anche per il rendimento. Quando, cioè, va contro l'efficienza fisica, la padronanza delle situazioni, la capacità di pensare, la lucidità o la possibilità di scovare tutte le risorse per poterle mettere in campo e la giusta misura di energia psichica oltre la quale è impossibile essere concentrati.

    L'agonismo, invece, è sicurezza e decisione di fronte alle situazioni, una condizione della mente ben lucida e consapevole e non uno stato ipnotico, una carica da invasati o un impegno morale verso l’allenatore e la società. È la disposizione personale che permette di usare tutte le proprie risorse nel modo più consapevole, una condizione che l'atleta conosce e padroneggia e non uno stato che può o deve essere stimolato dall'esterno.

  • È giusto parlare di agonismo con i giovani?

  • Partiamo da un presupposto: una partita giocata solo per vincere e non per scoprire il proprio talento e imparare, per un giovane in formazione è una partita inutile.

  • Sembra che un allenatore duro, la vittoria con qualsiasi mezzo e gli stimoli che aumentano l’eccitazione e la tensione siano gli strumenti più importanti di uno sportivo. Sarà vero?

  • Le partite della vita si preparano aggiungendo intensità ai soliti stimoli? Sono quelle in cui si dice: “Hanno giocato al 110%”. Servono stimoli speciali?

    Come giocare le partite della vita?

    Per le squadre più forti, sono quelle degli avversari abbordabili, che magari sembrano avere gareggiato oltre le loro possibilità perché si sono trasformate per inebriarsi di gloria. Per le più deboli, invece, sono quelle in cui si parte battuti, o sono state solamente drammatizzate per togliere paura e stimolare maggiore impegno. Che cosa è successo a chi ha vinto la partita della vita?

  • Al termine fair play si dà un senso troppo limitato. È giusto parlare di etica, lealtà e ogni forma di rispetto per gli altri e per se stessi, ma non basta.

  • L’idea che i bambini non debbano giocare per la vittoria, e la competizione sia sempre negativa per lo sviluppo, è un concetto mal interpretato di educazione.

  • A volte lo sport non piace più o è diventato un peso, ma tanti abbandoni sembrano inspiegabili, e la colpa può essere degli istruttori, dei genitori e dell’ambiente.

    Un adolescente decide di abbandonare lo sport senza una ragione in un momento addirittura favorevole e nonostante sia apprezzato da tutti. Chiediamoci, come sempre, se lo sport non lo abbia sottoposto a un clima di tensione con pressioni eccessive o maldestre,

  • La gara ha come obiettivo la vittoria, ma ottenerla con strumenti e modi che non chiamano in causa le qualità del talento,

  • Spesso lo sport confonde il coraggio con il rischio e il furore, ma il coraggioso passa inosservato. Rischia anche l’errore quando la situazione lo richiede ed è l’unico che la può affrontare o un compagno è in difficoltà, ma non è un benefattore a tutti i costi: chi se l’è cercata, se la risolva.

  • Sembra che il sermone prima della partita sia ancora una pratica piuttosto frequente a tutti i livelli dello sport. Aumenta o riduce la concentrazione?

  • La continuità è arrivare al rendimento possibile e riuscire a mantenerlo durante tutta la gara. Se non avviene, dobbiamo pensare a un agonismo sbagliato, a una formazione non più adatta al giovane attuale o a difficoltà di conduzione.

  • L'espressione krav maga, in ebraico moderno, significa letteralmente "combattimento con contatto/combattimento a corta distanza". È costruito estrapolando e semplificando i movimenti e le tecniche apprese attraverso lo studio delle arti marziali e degli sport da combattimento in modo da renderlo il più semplice ed efficace possibile durante un combattimento senza regole.

  • Un po’ di ansia prima della gara è fisiologica e inevitabile, ma soprattutto utile.

  • L'istruttore, che se ne renda conto o no, è una figura importante che può sbagliare più nella formazione della persona che dello sportivo, che da solo è poca cosa, e per allenare un giovane a un agonismo sbagliato, basta annullare i caratteri che servono per quello giusto.
    L’istruttore che chiede ai giovani una competitività e comportamenti da adulti, e intanto usa sistemi che li mantengono bambini, propone un agonismo sbagliato.

  • Lo sport parla meno di carica, strigliate o paura della gara e non fa più tanti appelli alla rabbia o all'orgoglio,...

  • Sono un istruttore di calcio dilettantistico e svolgo attività in una società nel territorio Milanese dando lezione ai bimbi di 6/7 anni. Domenica scorsa abbiamo partecipato a un torneo con altre sette squadre di pari età, giocando in contemporanea su quattro campi. Durante il confronto avevo notato che alcuni bimbi non rispettavano la distanza dal portiere avversario, quando questi doveva rimettere in gioco la palla al suo compagno, andando subito a pressare

  • Mia figlia ha otto anni e le parlano di agonismo. È giusto? 

  • Il rendimento non è semplicemente essere in forma e mettercela tutta, perché ci sono altre condizioni facili da procurare e difficili da controllare.

    Facciamo un discorso complicato, da un Natale in cui ci sarà tanto tempo da riempire.

  • Nello sport, il rapporto è ancora uno strumento marginale, se non ignorato. Spesso il giovane è ancora un foglio solo da riempire, mentre dalle domande, dalle risposte e dal comportamento si possono capire che cosa ha imparato e come lo usa, il livello di ciò che si può insegnare, le qualità, specie della mente, di cui dispone e l’uso che ne può fare,
    Spiego sempre tutto, ma tante volte mi sembra di non essere capito. Sbaglio oppure oggi i giovani sono disinteressati?

  • Come conciliare testa e gambe per formare uno sportivo completo.

  • Lo sport deve essere adattato all’età, alle motivazioni e ai mezzi del giovane che lo pratica, altrimenti predispone all’abbandono o ad un adulto incompleto. Lo psicologo spiega come i bambini e gli adolescenti affrontano lo sport e come lo sport può diventare uno strumento educativo efficace.

  • Gli ultramaratoneti sanno che in qualche modo riusciranno nelle loro imprese e che, per raggiungere il loro obiettivo, da qualche parte devono comunque sempre attingere le risorse fisiche e mentali.

Tehethon