educatore sportivo

  • I conflitti allenatore-genitore sono meno frequenti di quanto si creda, ma bastano pochi genitori incontrollabili per guastare il lavoro di tutta una squadra.

    Quando si parla con allenatori, la domanda più frequente riguarda i genitori: “Come difendersi e neutralizzarli?”. A volte hanno ragione, ma esagerano, perché non tutti sono da cacciare dal campo, dalla palestra o dalla piscina. Prima di giudicarli una presenza solo negativa, quindi,

  • Un istruttore: “Vorrei essere autorevole, e a volte ci provo lasciando fare o con un atteggiamento più rigido, ma non rispondono”.

  • Nell’analisi dei questionari, si evidenzia che il concetto di autonomia non ha lo stesso significato per tutti. Molti tendono addirittura a considerarla un rischio, perché la credono Indipendenza assoluta, quasi una specie di anarchia, estraneità a qualsiasi vincolo e licenza di realizzare obiettivi personali senza tenere conto degli altri o contro di loro.

  • I bambini nascono sempre uguali, si diceva, e si credeva di poterli educare tutti allo stresso modo. È sempre stato così, e non si sentiva la necessità di vedere ognuno come soggetto unico da trattare in modo diverso.  Oggi, con i mutamenti culturali e la possibilità dei giovani di accedere a un’infinità d’informazioni e di esperienze, occorrono altri accorgimenti.

  • L’allenatore ha il compito di portare l’allievo al livello consentito dal fisico e dal talento, ma anche di essere un educatore che cresce un futuro adulto autonomo, responsabile, creativo e adeguato alle esigenze dello sport e dell’ambiente.

  • Nei primi anni di sport, il bambino cerca il confronto con i coetanei, la verifica dei progressi, la consapevolezza di poter affrontare nuove situazioni, la padronanza dei propri gesti, il rapporto con l'adulto che lo sa guidare e apprezzare per ciò che fa, il giocare per vincere, ma non ancora per sentirsi migliore degli altri, e l’occasione di superare il naturale sentimento d’incompletezza e il disagio di sentirsi incapace nei confronti degli altri.

  • Oggi, il talento è entrato nella produzione di massa: basta che non crei problemi e faccia meglio ciò che fanno tutti. Lo sport lo addestra, ma ne perde l’ingegno e la creatività.

  • Bel quesito, se non fosse che uno sportivo non autonomo, non responsabile, non pronto al nuovo e a cambiare, ossia non educato, resta sempre uno sportivo incompiuto.
    Un visitatore del sito scrive: “Mi sembra palese la necessità di supportare gli allenatori nel percorso di crescita e formazione dei giovani calciatori, ma la necessità di curare le performance supera notevolmente la necessità di lavorare sugli aspetti educativi. Mi sembra un po’ un mondo ideale quello di cui stiamo parlando, non trovi”?

  • Lo sportivo si forma applicando conoscenze spesso lontane dal buon senso comune, da tenere, però, sempre presente, ma anche da adeguare ai tempi e alle risposte che ognuno può dare.

  • Ho sempre più a che fare con ragazzi diversi per provenienza, educazione e condizione sociale e culturale e non so come fare per trattare tutti allo stesso modo. La domanda di questo istruttore è apprezzabile perché riguarda chi ha più bisogno, ma forse tiene troppo conto d’intenzioni anche lodevoli, purché non segua chi vuole trovare colpe in chi non ha disagi.

  • Lo sportivo che non impara a esercitare creatività, ingegno e iniziativa personale potrà diventare un buon esecutore, ma non raggiungerà lo sviluppo pieno del proprio talento.

  • Un giovane può essere svogliato o anche astioso, ma un’accusa, una punizione, una sfuriata o una vittoria sterile non risolvono un conflitto e possono lasciare conseguenze imprevedibili.
    Un allievo, dotato e bravo in allenamento, da qualche tempo in gara si tira indietro. L’ho rimproverato ed ho provato anche a punirlo, ma non ho ottenuto nulla.

  • è sempre più chiaro che, per stare bene e sperimentare benessere, occorre sviluppare autoconsapevolezza, cioè la propria personale consapevolezza di come ci si sente, come si sta, cosa si vuole, dove si vuole andare, e anche consapevolezza delle proprie possibilità, capacità, risorse e propri limiti.

  • Parlare di educazione, specialmente quando s’inseriscono concetti non abituali tratti dall’osservazione personale sulle tracce psicologiche di Alfred Adler, è un compito troppo lungo, e allora è meglio elencarne alcuni caratteri.

  • Tratto da: "Calcio: formazione dell'atleta: dai primi calci al professionista", Vincenzo Prunelli © Centro Scientifico Editore, 1994.

  • Un ricordo fissato nelle mente conserva intatti per tempi indefiniti stati fisici e mentali, gesti e sensazioni di benessere ed efficacia che, prima di ogni gara, possono essere richiamati integri e utilizzati come sono stati vissuti.

  • Si crede ancora che la punizione abbia una funzione educativa, ma occorre cautela. Certo le trasgressioni vanno pagate, ma preferiamo ricorrere a conseguenze stabilite prima e naturali.

    Un ragazzino sbaglia una porta in una discesa sugli sci, e l’allenatore lo punisce facendogli risalire la pista a piedi. Una squadra professionistica di calcio perde una partita che sembrava abbordabile, e il giorno successivo sveglia alle sette, visione ripetuta del filmato della gara e, dopo, in ritiro per tutta la settimana.

    A volte sembra naturale rispondere con una punizione,

  • L’insegnamento non è semplice trasmissione d’informazioni e di contenuti, ma l’incontro di qualità, caratteri e modi tra chi insegna e chi impara.

  • I primi dieci anni sono i più delicati, e vanno affidati agli istruttori più esperti, che di un bambino conoscono il carattere, le necessità e le motivazioni, e non solo le abilità per lo sport.

  • I secondi dieci anni preparano l’ingresso nello sport adulto, che deve evitare il rapporto freddo e le manipolazioni, e favorire la creatività, l’iniziativa individuale e l’autonomia.

  • La gara ha come obiettivo la vittoria, ma ottenerla con strumenti e modi che non chiamano in causa le qualità del talento,

  • Ha senso una formazione in cui s’insegnano trucchi e furbate, mentre potenzialità si scoprono e si manifestano usando le qualità del proprio talento?

    In una vecchia conferenza in coppia, a una mia affermazione che i trucchi e le “furbate” sono i più grossi ostacoli al talento, Boskov, da finto ingenuo, mi disse: “Se Vialli si butta in area e si procura un rigore, che faccio? Lo metto fuori?” In effetti, lui parlava di uso del talento già formato, ed io di come formarlo, e ci siamo spiegati.

    Questo discorso, riferito all’adulto, può sembrare una specie di moralismo o la ricerca della purezza assoluta, ma è evidente che i grossi campioni preferiscono usare il talento. Inoltre, in un gioco di automatismi, due pensieri tra loro contrari nella testa non ci stanno: o si pensa al trucco o al gesto tecnico vero.

  • Lo sport è tale se si può vincere o perdere. Un giovane deve potere praticare sempre uno sport ma, dove è possibile, farlo con altri di pari livello, altrimenti resta ai margini e patisce e, se è un talento, esclude gli altri dal gioco.
    Come mi comporto con un ragazzo che, in qualche modo, ignora e sminuisce gli altri perché si ritiene migliore?

  • Allenatore… Istruttore… Mister… Coach… Li possiamo chiamare in molti modi diversi ma ciò che, dal nostro punto di vista, contraddistingue chi opera nei settori giovanili è sicuramente il ruolo di “educatori” sportivi, prima di tutto.

  • Oggi viviamo in un mondo con ritmi velocissimi e senza accorgercene, ne riversiamo le conseguenze sui più piccoli, privandoli , oggi più che un tempo, dei momenti di svago con gli amici.

Tehethon