allenatori

  • A cosa serve lo sport?

  • Nell’analisi dei questionari, si evidenzia che il concetto di autonomia non ha lo stesso significato per tutti. Molti tendono addirittura a considerarla un rischio, perché la credono Indipendenza assoluta, quasi una specie di anarchia, estraneità a qualsiasi vincolo e licenza di realizzare obiettivi personali senza tenere conto degli altri o contro di loro.

  • I bambini nascono sempre uguali, si diceva, e si credeva di poterli educare tutti allo stresso modo. È sempre stato così, e non si sentiva la necessità di vedere ognuno come soggetto unico da trattare in modo diverso.  Oggi, con i mutamenti culturali e la possibilità dei giovani di accedere a un’infinità d’informazioni e di esperienze, occorrono altri accorgimenti.

  • Lo sport dovrebbe essere gioia, libertà e sfogo di vitalità, ma ci può sempre essere qualcuno, allenatore, genitore o altro, che riesce a trasformarlo in un peso.

    Vediamo alcuni comportamenti e atteggiamenti che consiglierebbero di formare chi dovrebbe educare prima di lasciarlo libero di commettere errori o anche di più.

    In una palestra qualsiasi, un istruttore reagisce all’errore di un ragazzino di una decina d'anni chiamandolo “cretino” e urlandogli davanti a tutti di restare a casa

  • Che cosa faccio con un allievo che considera l’allenamento una seccatura da evitare? Io sono nello sport giovanile, ma anche tra gli adulti o, addirittura, tra i professionisti, c’è qualcuno che crede di poterselo permettere.

  • Sembra che un allenatore duro, la vittoria con qualsiasi mezzo e gli stimoli che aumentano l’eccitazione e la tensione siano gli strumenti più importanti di uno sportivo. Sarà vero?

  • Le partite della vita si preparano aggiungendo intensità ai soliti stimoli? Sono quelle in cui si dice: “Hanno giocato al 110%”. Servono stimoli speciali?

    Come giocare le partite della vita?

    Per le squadre più forti, sono quelle degli avversari abbordabili, che magari sembrano avere gareggiato oltre le loro possibilità perché si sono trasformate per inebriarsi di gloria. Per le più deboli, invece, sono quelle in cui si parte battuti, o sono state solamente drammatizzate per togliere paura e stimolare maggiore impegno. Che cosa è successo a chi ha vinto la partita della vita?

  • Benoit B. Mandelbrot nella sua autobiografia “La Formula della Bellezza” richiama spesso Galileo. A fine libro, questi richiami, vengono precisati.
    Scrive Mandelbrot.”Per apprezzare la natura dei frattali, è bene ricordare lo splendido manifesto galileiano del 1632: La filosofia è scritta … in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi e altre figure geometriche, senza i quali mezzi … è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto».

  • Oggi, il talento è entrato nella produzione di massa: basta che non crei problemi e faccia meglio ciò che fanno tutti. Lo sport lo addestra, ma ne perde l’ingegno e la creatività.

  • Caro Prunelli, Lei definisce l’osservanza delle regole e la libertà pilastri fondamentali della formazione, ma ho difficoltà a immaginare che un giovane libero di fare quello che vuole non sia piuttosto portato a eluderle.

  • Questo è un lavoro complesso, e comporta la conduzione del gruppo da parte di uno psicoterapeuta che usi l’approccio EMDR, in modo da permettere un lavoro di definizione ed elaborazione di obiettivi e risorse occorrenti e, al contempo, un lavoro d’individuazione, potenziamento e rafforzamento di risorse.

  • Bel quesito, se non fosse che uno sportivo non autonomo, non responsabile, non pronto al nuovo e a cambiare, ossia non educato, resta sempre uno sportivo incompiuto.
    Un visitatore del sito scrive: “Mi sembra palese la necessità di supportare gli allenatori nel percorso di crescita e formazione dei giovani calciatori, ma la necessità di curare le performance supera notevolmente la necessità di lavorare sugli aspetti educativi. Mi sembra un po’ un mondo ideale quello di cui stiamo parlando, non trovi”?

  • Essere educatori significa non creare inutili ostacoli, e mai continuare a dire soltanto come e che cosa fare. Nello sport, e non solo, invece, si crede che anche un bambino debba essere portato per mano e “caricato” perché faccia ciò che ci aspettiamo noi adulti.

    Alleno ragazzi che nello sport hanno già soddisfazioni, ma mi sembra manchino di carica e coraggio. Come faccio a darli?

    Spiace mettere l’accento sulle cose da evitare, ma a questo punto del nostro discorso è chiaro che solo rispettando i momenti dello sviluppo, le possibilità, i caratteri propri di ognuno, la creatività e la voglia d’iniziativa che un giovane va da solo verso la propria completezza e autonomia.

  • Il talento assimila meglio ciò che capiscono tutti, ma la formazione è crescita della persona, e non sola trasmissione di dati e informazioni già digerite.

  • L’arroganza non è frequente nei Settori Giovanili. Se, però, l’istruttore si presenta come un sergente di ferro, si considera un abile psicologo, crede di poter manipolare a piacimento, accorda privilegi e giudizi interessati, cede a pressioni o pretende di essere infallibile, è facile che i giovani si ribellino.

  • Il contrasto con la figura adulta è quasi fisiologico, ma in un gruppo occorre intervenire. L’istruttore corregga suoi eventuali errori, poi distribuisca compiti che richiedano ingegno e, infine si confronti, ma uno o pochi non possono ostacolare tutti.

  • Un giovane può essere svogliato o anche astioso, ma un’accusa, una punizione, una sfuriata o una vittoria sterile non risolvono un conflitto e possono lasciare conseguenze imprevedibili.
    Un allievo, dotato e bravo in allenamento, da qualche tempo in gara si tira indietro. L’ho rimproverato ed ho provato anche a punirlo, ma non ho ottenuto nulla.

  • In una recente trasmissione, si è convenuto che all’attuale scarsità di campioni nello sport si possa rimediare soltanto con un cambiamento di cultura e di metodi d’intervento nei Settori Giovanili. Il discorso sarebbe troppo lungo e non si conterrebbe in un articolo. E allora accenniamo in breve a cambiamenti culturali trattati nel sito e che lo sport trascura ancora, rinviando a uno successivo la trattazione sui metodi d’intervento.

  • La creatività e la fantasia sono capacità e facoltà ben definite di ognuno, che nello sport si rivelano nell’attimo in cui, in gara, è necessario trovare una soluzione costruttiva, o anche soltanto difensiva, a una situazione nuova o imprevista.

  • I conflitti tra istruttore e genitore non sono quasi mai aperti, perché è pur sempre il primo che decide, ma sono abbastanza frequenti. L’uno è abbastanza pronto ad augurarsi di allenare una squadra di orfani, e ii secondo a essere la voce critica con gli altri genitori e dare consigli a casa perché il figlio non è ben allenato. Lo sport, però, interessa allo stesso modo la persona e lo sportivo, e l’istruttore e il genitore non possono essere diseducativi annullando le rispettive funzioni.

  • Perché molte volte chiedo a uno sportivo di esprimersi in gara con serenità e di accettare il risultato senza drammatizzare, ma se ha perso non riesco a fargli comprendere questa importante dote interiore che caratterizza i veri campioni?

  • Il collettivo non è un semplice metodo di gioco che si può studiare a tavolino né la fedele applicazione di insegnamenti, ma una somma di conoscenze, interventi e attenzioni che interessano la personalità, il carattere e la mente. In pratica, è un carattere dello sportivo che si forma dall’ingresso nello sport, fino ad arrivare un modo di essere, pensare e agire stabile.

  • Si crede ancora che la punizione abbia una funzione educativa, ma occorre cautela. Certo le trasgressioni vanno pagate, ma preferiamo ricorrere a conseguenze stabilite prima e naturali.

    Un ragazzino sbaglia una porta in una discesa sugli sci, e l’allenatore lo punisce facendogli risalire la pista a piedi. Una squadra professionistica di calcio perde una partita che sembrava abbordabile, e il giorno successivo sveglia alle sette, visione ripetuta del filmato della gara e, dopo, in ritiro per tutta la settimana.

    A volte sembra naturale rispondere con una punizione,

  • Negli ultimi tempi, anche squadre di rango hanno cali improvvisi o resurrezioni non spiegabili. Sicuramente ogni caso ha le proprie spiegazioni che solamente chi lo vive può descrivere nei particolari.

    Qualche considerazione si può fare.

    La prima, che conviene iniziare da cause lontane, in pratica dalla formazione, dove perlopiù s’insegna a giocare per vincere subito. In questo modo, oltre a frenare lo sviluppo del talento, che è sempre un’ottima garanzia per non cadere nel panico per una difficoltà o un imprevisto, quando si passa in vantaggio, di solito inizia un’altra partita. Si passa da un comportamento propositivo, cioè mettere in campo tutte le capacità per imporre il proprio gioco a una fase in cui si tenta di frenare quelle dell’avversario. in pratica si gioca per non perdere, che è rinuncia e difesa, perché si passa dalla sicurezza di imporre il proprio gioco alla paura di essere sopraffatti.

    Perché un passaggio così rapido? La paura di fallire agisce in tempi brevissimi. Magari dopo un pericolo corso per una sbandata generale o anche per qualche azione della squadra avversaria che ha messo in seria difficoltà, s’inizia a giocare per non perdere. Gli automatismi, che significano giocare in scioltezza e costruire l’azione senza dover ricorrere al ragionamento, sono sostituiti dall’attenzione a non sbagliare, e quindi alla rinuncia al gioco propositivo, che è giocare per imporsi e per vincere, per sostituirlo con il gioco puramente di opposizione alle iniziative avversarie, che spegne la scioltezza, la lucidità e l’iniziativa personale.

    Giocare per imporre il proprio gioco è del tutto diverso dall’adattarsi a quello dell’avversario solo per riuscire a neutralizzarlo, e implica addirittura l’intervento di strutture neurologiche diverse. La funzione dei neuroni specchio, per esempio, che permettono di inserirsi psicologicamente nell’azione dell’avversario come fosse la propria e prevederne lo sviluppo, è sostituita dall’attesa del suo gesto per mettere in atto la contromisura. È un procedimento troppo lento e che, soprattutto, impone una concentrazione dell’attenzione sui particolari e la perdita di vista dell’insieme.

    E la squadra antagonista? Avverte subito la difficoltà degli avversari di giocare in scioltezza, il passaggio dalla libertà creativa al rallentamento delle azioni e la mancanza dell’imprevedibilità che dà il collettivo. Smette di essere troppo guardinga e inizia a osare, perché si sente più sicura e si rende subito conto di giocare in scioltezza. In questi casi, la squadra che è in crisi, invece, si limita a difendersi o, quando prova a reagire, non riesce a passare subito agli automatismi, e gioca prima di tutto per non sbagliare. In pratica, “ragiona” prima di fare ed ha difficoltà a capire che cosa faranno i compagni, ma così rallenta le azioni e non riesce a creare collettivo.

    Come avvengono questi passaggi così improvvisi? Tra due squadre che non sono già in crisi, il meccanismo è sempre lo stesso, e le differenze, quando una riesce a recuperare più rapidamente, sono un collettivo vero e una maggiore maturità complessiva.

  • La gara ha come obiettivo la vittoria, ma ottenerla con strumenti e modi che non chiamano in causa le qualità del talento,

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