È giusto parlare di agonismo con i giovani?
Un dizionario della lingua italiana lo definisce "Spirito combattivo di generosa emulazione da parte di un atleta o di una squadra impegnati in una gara", e dunque il termine non è molto chiaro. Formuliamo alcune ipotesi. Possiamo chiamare agonismo il comportamento in gara di chi esercita lo sport a livello professionistico, le attività regolamentate per conseguire una classifica di merito, anche se in questo caso si potrebbe chiamare agonismo qualsiasi attività competitiva, e quelle caratterizzate da un forte impegno fisico, e in questo caso le gare tra scapoli e ammogliati sarebbero i livelli più elevati di agonismo e di rischio.
Quindi, possiamo parlare di agonismo anche con i giovani perché, se manca, non vi è neppure sport, ma non può essere mai prematuro, esasperato, scorretto o carico di ansia e di obbligo di vincere. L’agonismo sbagliato, infatti, è l'attività sportiva, imposta a bambini e ragazzi, nella quale l'unico obiettivo è la vittoria ottenuta con qualsiasi mezzo e sotterfugio. Dove si preparano gli atleti e la gara con gli stessi sistemi che s'impiegano con gli adulti, e dove si chiedono prestazioni superiori alle possibilità attuali senza curarsi di formare la persona, che è condizione essenziale per avere lo sportivo completo nell'età adulta. Dove è necessario gareggiare sempre con la bava alla bocca e in condizioni psicologiche esasperate e, in definitiva, contrarie al miglior rendimento.
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