Si riparla di cannabis, anche se a basso dosaggio, e sembra di ascoltare lì solito discorso superficiale e disinformato. Qualcuno dice che è la modernità, la nuova cultura, ma per parlarne la dovrebbe conoscere e, ancora di più, se la volesse cambiare in meglio.
E chi si propone come guida e modello da seguire, anche qualche medico, poi, non dovrebbe proporre opinioni personali spesso solo ideologiche o stravaganti.
C’è un equivoco: si crede che la libertà consista nel fare ciò che si vuole, ma è più facile pensare che si tratti solamente di identificarla con la trasgressione. C’è chi non si piace e non conosce mezzi per sentirsi adeguato, e allora va bene tutto, ma la cultura che per molti sembra persa insegna che il caposaldo è l’esercizio delle proprie capacità e il compito di impegnarsi per svilupparle e condividerle.
Una cultura deve prevedere un beneficio per tutti, e non un vantaggio per alcuni a danno di altri. Ovunque si parla di droga, si tengono conferenze su rischi che non si possono più nascondere, ma le voci che si levano parlano di togliere le prospettive di lavoro e di guadagno a chi la droga la produce o la vende, ma questi appelli comprensibili e nobili vanno usati per cause a favore della salute. E sarebbe molto peggio che fosse un mezzo per far quadrare i conti.
Quest’autorizzazione implicita all’assunzione di droghe, ovviamente, è diretta di più ai giovani, specie se a rischio, ma non solo. Il giovane che manca di senso critico non vede ciò che gli avviene intorno: si affida, non si riconosce limiti, non vede il pericolo perché si sente invulnerabile e invincibile. È sempre convinto di controllare qualsiasi situazione quando vuole senza rendersi conto che nel tempo va incontro a un deterioramento che rende più difficile volere e decidere. Non sa prevedere gli effetti, come afferma qualcuno che vuole provare il vero sballo dopo aver sentito della nuova droga che produce danni irreversibili già dalla prima assunzione. E alla fine non vede la realtà, perché non si può immaginare un decadimento come scelta di vita. Va considerata una causa che subito non si considera, ma nel tempo diventa stabile anche solo per abitudine: l’assunzione può derivare da imitazione, “battesimo” per far parte di un gruppo, desiderio di seguire figure che attirano consenso e ammirazione o la subordinazione a una mentalità.
Perché si ricorre a un mezzo artificiale e nocivo per sentirsi diversi da come si potrebbe essere? Manca qualcosa, magari un’autostima sicura o anche solo lo slancio per imprese impossibili. C’è una falla, ma non c’è cannabis né leggera né pesante che la possa chiudere. E allora bisogna ricorrere a mezzi più energici, sempre con la convinzione di poter smettere quando si vuole, ma con facoltà mentali più disabilitate e inefficaci.
Vincenzo Prunelli
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