Il calcio per i bambini, in Italia, in Equador come in qualsiasi altro posto, nelle favelas o nei pelucconi, è sempre gioco, divertimento e sport.
Il piacere di insegnare il calcio e di stare in mezzo a queste facce buffe, colorate, con questi sorrisi da fare invidia, non ha prezzo. Facce pulite di bambini uguali ai bambini, questa foto potrebbe essere stata scattata a Roma, a Bolzano, o in Africa; volti misti, colori della pelle dal chiaro allo scuro, invece, siamo a Guayaquil, città nel sud dell’Ecuador. Quattro milioni di abitanti, una metropoli grande a perdita d’occhio, e così diversa da come noi occidentali siamo abituati a concepire la città. Di notte, sembra un immenso e perenne presepe, le case di cemento tra altre di canna di bambù, arrampicate su colline e pendii che incutono paura, perché quando piove il fango scivola giù, travolgendo le case, portandosi via a volte uno di questi sorrisi. È successo in passato e succederà ancora. Purtroppo anche un modesto corto circuito di impianti elettrici fatiscenti, o peggio ancora lo scoppio di una bombola di gas, sono le cause di incendi devastanti. Guayaquil, la perla del Pacifico, una città dalle molteplici facce, ci sono anche le zone decorose (i pelucconi), così sono chiamati i ricchi che abitano in cittadelle chiuse, recintate con guardie di sicurezza e sono dotate di parco, piscina condominiale, il campetto da calcio in sintetico, di solito vuoto.
Poi, spostandosi di quartiere, si entra nelle favelas, dai nomi più svariati: Guasmo, Isla Trinitaria, Iguanas, il Bastion Popular bloque 1-2-3-4- 10 etc. etc. Qui, in un mondo diverso, colorato e anche musicale se vogliamo, dove la povertà regna sovrana, s’incontrano questi sorrisi e questi occhi grandi. Occhi che parlano, raccontano di un disagio profondo fatto di umiliazioni, rinunce e salti del pasto quotidiano. Basta poco, però, per far nascere un sorriso, UN PALLONE e lo spettacolo inizia: partite di calcio interminabili in mezzo alla via, perché quando i giovani si appropriano di una strada, essa stessa si trasforma magicamente in uno stadio, sede di un intero campionato. Durante il periodo Giuliano, festa di Guayaquil, compreso tra Luglio e Ottobre, si organizzano veri campionati rionali di calcio, pallavolo. Tutto si svolge in mezzo alla strada e questo non solo nelle periferie, ma anche nel centro della città sotto il favorevole benestare delle autorità competenti. Anzi, l’Alcalde (il Sindaco) circola tra questi rioni, donando di volta in volta palloni, magliette e promettendo soluzioni ai problemi della popolazione, in pratica si prodiga in propaganda politica. In questi “ghetti” poiché non ci sono altri termini per meglio descriverli, l’Alcalde ha fatto costruire e continua a farlo, mini parchi, con giochi per i bambini e annessi campetti per BASKET, pallavolo E CALCIO A 5. Io ho allenato anche in questi posti, nel cuore delle favelas e per la gente del posto, piena di allegria; la gente di notte usciva dalle case per venire a vedere i ragazzi allenarsi e conversare magari tra una bottiglia di cerveza (birra) e un chuso (un wurstel).
In questi luoghi uccidono per rubare un cellulare o un paio di scarpe di marca. Personalmente, una volta mi ero trattenuto un po’ più del dovuto e la chiave elettronica della mia macchina si era improvvisamente bloccata, quando già il panico mi stava invadendo, ero solo nel mezzo del nulla, in un luogo pericoloso, succede il miracolo. La gente del posto che mi conosceva poco, per loro ero l’italiano che insegnava gratis calcio, si avvicinò per chiedermi se avessi bisogno di aiuto, dissi di sì e in un attimo si prodigarono nell’aiutarmi. La macchina si rimise in moto e fui “scortato” sino alla via principale. Ricordo che qualcuno, mentre io ero chiuso nell’abitacolo (al sicuro), gridava agli altri: "questo è il prof., nessuno lo deve toccare". Come potevo immaginare che il calcio avesse tanta forza comunicativa e di aggregazione, superando tutti i limiti: di una lingua diversa dalla propria, di essere uno straniero di un Paese lontano e di non appartenere a quel luogo? Eppure, quella era la chiave giusta per dialogare con questa gente che, confesso, forse troppo superficialmente avevo mal giudicato. Il calcio è uno sport mondiale, con le sue differenze come ho spiegato in un altro articolo ma, ancora una volta, mi confermava che unisce e non divide le persone.
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