La parola ai tecnici

Vorrei ritornare bambino per non dimenticarlo mai più e sentirmi nuovamente libero leggero e volare con la fantasia.

Il gioco, i bambini e lo sport

Il gioco per un bambino è una cosa seria, crea spazio alla creatività ed è d’importanza vitale per lo sviluppo mentale e creativo del singolo soggetto. I Bambini litigano per il gioco e durante il gioco stesso. Personalmente lo vedo come un pane buono, uno stimolo positivo che produce lo stesso effetto di un dolce gustoso che appaga tutti i sensi. Per il piacere stesso tutto è permesso, mangiare con le mani e leccarsi le dita, tutte le regole cambiano a nostro piacere, dove siamo tutto e il contrario di tutto ma solo per il piacere di giocare, fine a se stesso, senza secondi fini. Tutto ciò prescinde dalle nostre origini e dal Paese di provenienza, nel gioco i bambini partecipano allo stesso modo in tutto il mondo. Purtroppo, mi rendo conto che il gioco nel tempo si è trasformato, sia nel modo di giocare che nelle sue molteplici fantasie.
Nella mia adolescenza i giochi erano più semplici, legati alla conoscenza delle cose del periodo: si costruivano capanne, si esploravano i boschi trasformati poi negli anni nelle attuali periferie. Forse c’erano più pericoli fisici, di contro però, oggi ci sono più pericoli telematici. I miti, gli eroi da emulare e su cui fantasticare, quindi, erano diversi. La tecnologia odierna, la Tv, gli smartphone e i sofisticati cellulari che permettono in tempo reale giochi e situazioni diverse per gusti diversi, influenzano e condizionano bambini piccoli incapaci di camminare o parlare, ma sono già   in grado di entrare in Youtube o di iniziare un approccio con un gioco virtuale. Mi chiedo, era meglio l’infanzia di allora o è meglio quella di adesso?

Lo stesso meccanismo è valido per lo sport, come gioco fine a se stesso, nel quale sono cambiati i metodi e i personaggi che ci inducevano a praticare questo o quello sport. Il gioco come sport si è negativamente trasformato è diventato troppo competitivo; la responsabilità è dei media che ci propinano modelli esagerati e impossibili da imitare, dove il business viene prima che tutto. Oggi i bambini che praticano sport hanno come modello personaggio creato mediaticamente, per esempio nel calcio tra tutti i bambini che lo praticano, la maggior parte vorrebbe essere, Messi o CR7. Quindi, credo si sia innescato un vortice pericoloso, dove i bambini che praticano sport sono sempre più sollecitati a competere per vincere e non a partecipare per crescere in armonia con il proprio corpo e la mente. Gran parte della colpa è anche da attribuire ai genitori che portano al limite fisico e psichico i propri figli, per il sogno di avere un figlio campione; quel campione che hanno tanto desiderato essere da bambini ma che per vari motivi non sono diventati. A volte questi figli vorrebbero fare tutt’altro, ma si sentono costretti e subiscono. In ultimo, ritengo di incolpare quegli istruttori incapaci e senza scrupoli, ai quali affidiamo i nostri figli, con il fine che facciano dello sport puro e sano. Ma la sete di gloria e di vittoria, induce troppo spesso a dimenticare che i bambini sono solo BAMBINI!

Oggi che sono adulto e un allenatore  di calcio, e quindi uomo di sport, guardo mio figlio giocare, mi rendo conto di quanto mi sono perso e quanto seguito a perdere solo per il fatto, stupido, di aver desiderato crescere in fretta. Diciamoci la verità. Quanti di noi, da bambini e poi ragazzi, non vedevamo l’ora di essere adulti, per fare cose da grandi. Oggi, guardandolo giocare, riesce a farmi  retrocedere velocemente nel tempo, a quel periodo, bello, ingenuo e misterioso. Lo guardo come la fantasia lo trasporta in situazioni e luoghi immaginari lontano da me, e resta ore e ore a fantasticare. Può essere un Transformer che lo porta in un futuro fatto di mostri e combatte contro forze del male oscuro, lo sento cambiare la voce fare dialoghi e suoni con la bocca in improbabili battaglie, oppure il telecomando della televisione si trasforma in una pistola laser o, semplicemente, un microfono, un palcoscenico immaginario e lui che canta e si esibisce davanti ad un invisibile pubblico.

Lo guardo, ha negli occhi che brillano una luce che non so spiegarmi. In quei momenti io non esisto non sono necessario può fare a meno di me, sta nel suo mondo ed io lo invidio.  Vorrei entrarci in quel mondo e fargli sapere che ci sono, condividere con lui quei momenti, ma la vergogna (stupida) mi frena e mi rendo conto che lui e molto più  avanti di me. Sono rimasto indietro. Altro errore è quando lui, mi chiede, giochiamo?  Io, povero stupido gli rispondo: “No, sono stanco”. Scuse, solo stupide scuse, forse in  quel momento mi stanno dando la possibilità di entrare nel suo mondo, nel suo GIOCO, nella sua fantasia ma stupidamente gli chiudo la porta in faccia e allora di cosa mi sto lamentando? Di cosa stiamo parlando? Perché essere bambino è una magia che terminerà nel momento in cui dimenticheremo che siamo stati bambini.

 

Massimo Orengo

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