Il collettivo è una condizione in continuo movimento, una mentalità costruttiva che si arricchisce man mano che si crea qualcosa di nuovo ma, se non evolve, si spegne. Si dice meno che, per averlo, è sufficiente conoscersi e giocare insieme per molto tempo ma, se si propongono invariati gli stessi sistemi, al massimo si ha un collettivo provvisorio, che dura soltanto finché si vince e non lascia insegnamenti utili.

La mente si può definire in tanti modi, ma basta considerarla l'insieme delle funzioni superiori del cervello, come il pensiero, l’apprendimento, l’ingegno, l’intuizione, la ragione, la memoria, l’iniziativa, la capacità critica, la motivazione, l’adattamento a ciò che è nuovo, tutte in qualche modo funzioni consapevoli, che, nell’insieme, costituiscono l’intelligenza. Nello sport, l’intelligenza consente di intuire, comprendere e modificare ciò che è reale, di creare il nuovo, ed è il luogo dove operano le qualità del talento.

Il richiamo alla volontà è l’ultima risorsa quando non si è sicuri della maturità degli allievi, si crede sempre che una gara si perda per mancanza d’impegno o, invece, che basti per arrivare anche dove è impossibile. Sulla volontà s’insiste troppo, come fosse un tratto del carattere sempre decisivo, quasi un pregio che si richiama a comando e sempre a disposizione che basta sollecitare per avere un risultato sempre positivo. È, invece, uno stimolo interiore che si ravviva spontaneamente quando s’insegue un traguardo appagante che si sa di poter raggiungere, o si spegne di fronte all’impossibile.  

Parlare di abbandono prima che inizi la stagione può non sembrare utile, ma adottare da subito qualche cautela evita brutte sorprese. Troppi sono convinti che lo sport debba piacere e un giovane, figlio o allievo, abbia i gusti, le motivazioni, la costanza e le forze di un adulto e, quindi, si possano usare gli stessi metodi. Tanti abbandonano e altri si adattano, ma non arrivano agli sportivi che potrebbero essere. 

Che ognuno tenti di migliorare le proprie competenze è del tutto apprezzabile, ma occorre evitare approssimazioni e interventi al buio, perché è troppo facile avere effetti imprevisti o perdere l’opportunità di usufruire di apporti qualificati.

Qualcuno dice che devo spingere mio figlio a essere ambizioso e a non porsi limiti, altri che devo semplicemente farmi sentire vicino, e altri ancora che mi suggeriscono di non dargli consigli tecnici perché possono essere in contrasto con quelli dell’istruttore. A chi devo credere?

Nello sport si fanno tante cose per migliorare la prestazione, ma troppo spesso aumentando la frenesia, che è utile per sfuggire a un pericolo, ma è un blocco quando si devono usare la lucidità, il talento e l’iniziativa. Oggi si fa meno, ma si ha ancora difficoltà a immaginare l’atleta che, invece di caricarsi di adrenalina e difese contro la paura, si scarica di tensione negativa e torna a gareggiare come sa.

Altri articoli...

Tehethon