Pillole

È la solita caratterizzazione all’eccesso che non riguarda soltanto lo sport. Come sempre, però, non si vuole dipingere un quadro solo negativo, ma rilevare rischi ed eventuali conseguenze.

Chi si crede già campione

Essere un talento dovrebbe riparare da tanti rischi, consentire una cavalcata senza ostacoli nello sport e fin dove le qualità lo permettono, ma non è sempre così. La maggior dotazione interessa qualità fisiche, abilità tecniche e doti intellettive, ma ognuno ha il proprio carattere, e subisce pressioni e condizionamenti anche perché può più degli altri

Chi esagera in autovalutazione, anche se con qualche motivo valido, tante volte si compiace troppo della propria superiorità e dell’attenzione che riceve, ma si arresta nello sviluppo psicologico. Può pur sempre contare su buone qualità, ma perde, o non riesce a trovare, le giuste misure. Si convince di sapere e potere tutto, si accontenta e non si pone domande, ma così non può scoprire e conoscere i propri limiti, e neppure le qualità reali. Usa le capacità più manifeste, che riesce a impiegare meglio e, quando vuole stupire, si avventura in soluzioni velleitarie che impegnano le abilità, ma non il talento. In modo paradossale, non rischia le soluzioni nuove e impreviste permesse dalla sua dotazione, e ripete schemi e comportamenti possibili anche a chi è meno dotato. E la pretesa di essere migliore di tutti e averli a servizio, gli procura sudditi e rivali, ma difficilmente amici alla pari che lo riconoscano come leader, e così non acquisisce l’attitudine a rapporti reciproci e armonici e ha difficoltà a sviluppare le attitudini per il collettivo.

Tante colpe sono del genitore, che si è entusiasmato del suo talento, ma alla fine lo penalizza, poiché si adegua e fa solo ciò che serve per vincere o, meglio, non sbagliare e non perdere. Cerca situazioni nelle quali si può confermare, per non intaccare un’autostima che non lo rassicura, e non impara per quanto potrebbe dalla sconfitta e da chi gli è superiore. Resta incompiuto, perché non rischia il nuovo, teme l’errore, ritiene immutabili i propri comportamenti e, quindi, non sa giocare per imparare e migliorarsi. È anche troppo condizionato dalla vittoria magari ottenuta in qualsiasi modo, perché è l’unico parametro su cui si può verificare.

C’è chi si accontenta, ma lo sport, se lo intendiamo come sviluppo della persona e dello sportivo, è una conquista continua, mai affannosa, ma perseguita scoprendo, sviluppando e usando le qualità migliori. O, se lo vogliamo chiamare in altro modo, è la ricerca della professionalità in ogni momento della pratica sportiva o della carriera.

Vincenzo Prunelli

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