Ansia e sport. 

 

L'ansia aiuta o frena nello sport? Dipende. Di ansia si parla in modi di solito negativi, come di un disturbo, un limite, un nemico che accettiamo perché non lo sappiamo combattere. Spesso è la facile spiegazione delle crisi e delle difficoltà. O è un alibi che non convince, poiché lo sport fa di più per esasperarla che per controllarla, come quando vuole un atleta schiumante di rabbia, di furore e di carica nervosa, in pratica il tipico soggetto carico d'ansia. Oppure è una colpa, una debolezza che non va d'accordo con un'immagine virile dello sport.

 

In ogni caso, è un nemico che ci facciamo da soli. Con le gare della vita, i drammi, l'avversario troppo forte perché dia stimoli, i rituali diversi per l'impegno importante. Oppure la carica, le strigliate, l'errore e la sconfitta come colpe o misfatti e mille altri interventi che vorrebbero dare coraggio e decisione, ma mettono il dubbio di non farcela.

Alla fine, il peggior nemico di se stesso è l'atleta, che si convince di essere una pila da caricare ogni volta e di non avere da solo stimoli e motivazioni per impegnarsi e rendere. Non crediamo che si sappia imporre determinati stimoli, e allora gliene creiamo di artificiosi, finché lo carichiamo di paura. Ma se l'atleta continuo è quello più sereno ed equilibrato, perché per far rendere meglio gli altri li dobbiamo angosciare?

Gli effetti dell'ansia sono i disturbi che vediamo prima di una gara. C'è chi è pallido, sudato e freddo, ha batticuore e palpitazioni. Chi non riesce a respirare, è affannato, ha il fiato corto e la bocca secca. Chi ha crampi allo stomaco, nausea, vomito o diarrea. Chi ha tensioni ai muscoli, formicolio dappertutto e sente vuoto e senza forze. E chi ha tutto insieme.

Ma l'ansia è ancora più nociva sulle funzioni della mente. L'ansioso può fare tutto, ma non valutare le situazioni, usare le abilità, selezionare e riconoscere gli stimoli, rispondere o trovare l'equilibrio tra mente e azione, che è il massimo livello del rendimento. Ed è impacciato: la gara è impresa troppo difficile e, senza volerlo, la affronta come se l'è immaginata, con le gambe molli e la paura di non farcela. E allora non ha iniziativa, o al contrario agisce d'impulso, da frenetico, come per liberarsi da un affanno. Soprattutto non è lucido, perché ha un campo di attenzione ristretto, che non gli consente di pensare o di concentrarsi sul compito.

L'ansia blocca la parte della mente che libera creatività, fantasia, intuizione, immediatezza e ingegno. L'ansioso, infatti, stenta a programmare l'azione, a scegliere gli interventi o a inventare per cambiare le situazioni. Ripete i gesti tecnici che gli riescono meglio o azioni già collaudate, ma non crea il nuovo e l'imprevisto, e dunque non esprime il suo talento.

Negli sport di squadra non si integra nel collettivo. Non percepisce i messaggi e non risponde sulla lunghezza d'onda degli altri, che inventano e progettano, mentre lui si difende e cerca di non sbagliare, e questi due modi non si sommano. Spesso trova scappatoie inconsapevoli per non mettersi alla prova: ha acciacchi sempre diversi, invece di cercare i rimedi, trova scuse per giustificarsi, rinvia la ripresa dopo gli infortuni o, come si dice, rimanda a tempi indefiniti l'esplosione definitiva.

Come gestire l'ansia? Più che usare tecniche per neutralizzarla, occorre far crescere la sicurezza perché non si sviluppi. Guardiamo quindi a un atleta che sa cosa fare in gara e fuori, collabora, sceglie e decide, e non sull'umile che si adatta, ripete e non va oltre ciò che gli chiediamo. Diamo spazio all'autonomia e all'ingegno, senza paura che la libertà diventi anarchia o confusione. Convinciamoci che l'impegno, la voglia di fare, la responsabilità o l'agonismo sono risorse che ognuno ha dentro senza doverle infondere, e che basta lasciar libere e non soffocare con inutili stimoli. Stimoliamo e mettiamo insieme le idee, i contributi, l'ingegno e le intuizioni di tutti, e non pretendiamo solo uniformità e ordine o di poter pensare solo noi.

I rimedi veri, però, devono partire da più lontano, da chi lavora con i giovani. Formiamo sportivi più evoluti, capaci di fare e di imparare, responsabili come in qualsiasi attività in cui si rende per le risorse che si sanno mettere in campo, e avremo soggetti resistenti allo stress, e dunque continui e vicini al rendimento possibile.

Ma vi è anche l'ansia utile, che è lucidità, attivazione, voglia di misurarsi, coraggio di mettersi alla prova e giocarsela anche nelle situazioni difficili. C'è anche fuori dello sport: ci prende prima di un esame ben preparato o di una prova che sappiamo di poter affrontare, con un po' di brivido che ci rende più lucidi e impazienti. È un'ansia che va di pari passo con la sicurezza, esalta il giusto livello di tensione fisica ed emotiva e armonizza tra loro le qualità della mente e del fisico. L'atleta con il giusto grado di attivazione, infatti, elabora e armonizza in modo lucido e razionale gli stimoli esterni e quelli del corpo, e quindi è nella condizione di usare tutte le risorse, di padroneggiare le situazioni e di raccogliere le energie fisiche e mentali da impiegare nella prestazione.

In sintesi, l'ansia è un regolatore del rendimento. È però difficile da capire e da usare se non definiamo la prestazione e il rendimento, le qualità della mente, lo sportivo completo allo stesso modo nel fisico, nelle gambe e nella mente, come formarlo e come utilizzare tutte le sue risorse. E cosa sono l'agonismo e lo stato psicofisico ottimale, come neutralizzare l'ansia sbagliata e allenare quella giusta o cosa fa la mente nella prestazione.

Dell'ansia non si può fare a meno. L'agonismo, infatti, non è indifferenza, ma capacità di indirizzarla perché diventi attivazione, impazienza di misurarsi e ogni stato utile alla prestazione. Ha però una misura sopra la quale diventa un peso e sotto non dà stimoli, e dunque è l'ago della bilancia del rendimento. E non tanto perché è troppa o poca. Oltre la misura, c'è anche la qualità: una taglia le gambe e l'altra dà direzione e intensità all'attività fisica e intellettiva. Sono due mondi diversi, anche se con un confine labile. Uno sta con la tensione, l'affanno di non farcela e di non essere all'altezza, mentre l'altro sta con la sicurezza, la padronanza delle risorse, la voglia di andare a misurarci o l'attesa senza paura, perché sappiamo di potercela fare.

Infine, qualche dubbio. L'ansia utile è un'ansia più contenuta o è tutt'altra cosa? La possiamo stimolare usando quella negativa? No, anche se è il metodo ancora più in uso, perché sono diverse: quella positiva fa parte del desiderio di lottare, di crescere, di progettare e conquistare obiettivi, e dunque è produttiva, mentre l'altra è impaccio e fuga dall'azione.

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