È da quando m’interesso della testa nello sport che sento dire: “È andato sopra i propri mezzi”.
Poiché è una legge della natura non poter dare più di ciò che si ha, credo sia più opportuno dire: “Finalmente è riuscito a dare tutto quello che ha”, che non è ancora giusto, perché chi ci aggiunge ogni giorno qualcosa, potrà dare ancora di più.
Facciamo alcune considerazioni.
- Che significato ha far ripetere oggi quello che si sa da sempre? La formazione è un tempo in cui si deve imparare ciò che non si conosce, e non solo ripetere che si sa già o preparare marchingegni per vincere oggi. Ogni partita dovrebbe servire per imparare a vincere quando la vittoria sarà il vero obiettivo dello sport.
- Non creiamo inutili tensioni per stimolare più impegno, perché nella nostra gara più bella eravamo euforici, entusiasti, sicuri e liberi dalla paura di sbagliare o non di riuscire. Era la sintonia piena tra mente e corpo, “la forma” ottimale, di cui nella mente abbiamo il ricordo, difficile da scoprire, ma ancora nitido e utilizzabile. A questo proposito, ci possiamo fare una domanda: “Quanto, della forma dipende da fisico e quanto dalla mente?”. O meglio: “È possibile senza una sintesi di entrambi?”
- Perché uno sportivo arrivi al rendimento medio, non occorre fare nulla, perché lo sa fare senza di noi. Serve farlo andare oltre, dove lavora l’ingegno, che è qualità del tutto personale, e dove ci può arrivare soltanto da solo. In pratica, per riuscire nello sport serve il talento, ma se non ci aiutano a imparare a usarlo, e quindi senza l’intervento dell’ingegno, è poca cosa.
- E se considerassimo “talento” non solo la capacità di far muovere meglio le braccia e le gambe? Teniamo conto che più andiamo verso il talento, più aumentano le capacità della mente. E allora, perché non considerare talento la capacità e il coraggio di provare il nuovo, la creatività, l’originalità e la fantasia? O il gusto per andare a vedere che cosa si può ancora fare e la costanza, che non sono fatica o sacrificio ma piacere di scoprire e di scoprirsi per essere sempre più padroni del nostro talento? E queste qualità non hanno tanto bisogno di essere allenate quanto di essere lasciate libere di esprimersi, perché soddisfano le nostre motivazioni più pressanti.
- Che cosa fare per andare oltre? Creiamo ogni giorno qualche situazione nuova o un quesito concreto da risolvere da soli, e poi applichiamo anche le loro soluzioni, in modo che sentano di contare per ciò che sanno produrre. Stimoliamo dubbi e curiosità, perché sentano il piacere di andare oltre e fin dove è possibile. Non diamo mai nulla di accertato e definito, perché l’ingegno e il desiderio di sapere e di conoscere riescono sempre ad aggiungere qualcosa.
La conclusione: dove lavorano il talento e l’ingegno dell’allenatore? In quella zona che sta tra il rendimento medio e la prestazione massima, perché è qui che si esprimono le vere capacità del talento.
Possiamo dire, quindi, che la prestazione massima è la normalità, non un qualcosa in più, mentre quando si sta sotto manca qualcosa, ed è lì che lavora l’allenatore che cerchiamo.
Un monito. Bisogna formarsi, e senza timori, perché quando si ha interesse e vuole tutto è facile. Nello sport, invece, troppi si sentono già “imparati”, proprio come chi si considera un chirurgo per aver subito otto operazioni.
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