Pillole

È il genitore che, nello sport giovanile, si considera ancora indispensabile. Sa, pensa e decide per il figlio, gli fornisce soluzioni e stabilisce gli obiettivi. Lo vorrebbe responsabile e attivo, ma è più facile che ne blocchi il talento, fino ad allontanarlo dallo sport, farne un semplice esecutore o doverlo sempre proteggere.

Parliamo del genitore che non ha modificato le convinzioni acquisite e vissute nell’infanzia, e che propone con coerenza al figlio. Questo discorso sembra un pezzo di archeologia educativa, ma è ancora attuale. La differenza è che tanti figli sembrano accettare una vita pianificata e non da decidere, ma più che altro delegano impegni e iniziativa e ci mettono poco di proprio, perché questo sistema spegne le motivazioni.

Questo tipo di genitore non ha nulla a che vedere con quelli che “utilizzano” i figli per risolvere disagi personali o sfogano su di loro tratti negativi del carattere, ma neppure lui è accettabile. Non lo vogliamo incolpare, perché ama il figlio, ma dobbiamo rileviamo che tramanda modi che incidono sfavorevolmente sul suo sviluppo, e anche lui va incontro a conflitti che mettono in discussione il suo ruolo.

Come si comporta? Sa sempre cosa si deve fare o non si è fatto, fino a bloccare la sua creatività, e l’iniziativa, e continua a pensare e decidere per lui anche quando sarebbe in grado di farlo da solo o, almeno, avrebbe le sue idee da proporre. Gli fornisce direttive e soluzioni precise e indiscutibili, ma oggi il giovane ha già troppe occasioni per sostituire l’iniziativa personale con altri interessi, e risponde se è partecipe delle decisioni che lo riguardano. Ha anche bisogno di avere degli obiettivi ma, per esserne attratto, deve poterli scoprire e desiderare, mentre è poco interessato a quelli che gli sono imposti.

Lo considera materia da plasmare e programmare con precisi stimoli e fornendo tutto già pensato e deciso, e così s’illude di “costruirlo” a propria immagine anche se ha capacità, caratteri e desideri propri che alla fine farà valere a modo suo. E neppure si può dire che lo vizi. Anzi, è convinto di operare per prepararlo a essere responsabile e attivo, perché gli fornisce tutti gli insegnamenti adatti, come se avesse capacità, motivazioni e obiettivi già ben chiari e definiti. In questo modo lo tratta da semplice esecutore, e il figlio in un primo tempo sembra rispondere ma, in realtà, si limita ad affidarsi e a non assumere come proprie le direttive del genitore, finché deciderà di fare da solo senza esserne preparato.

È, però, anche possibile che un figlio cresciuto in questo clima continui ad affidarsi e ad attendere soccorso. Che cosa fa di solito in questi casi un genitore rimasto indietro con i tempi? Prima, richiama il figlio ai doveri e agli obblighi che ha sempre cercato di trasmettergli, poi cerca di stimolarlo con premi e lodi o richieste di responsabilità che un puro esecutore non possiede e, infine, tenta di correggerlo con la punizione, la minaccia, il rimprovero o la disistima, ma alla fine è più facile che si venga ai ferri corti.

Come si comporta nello sport? Considera il figlio un piccolo adulto con capacità e motivazioni che non possiede e obiettivi non può ancora realizzare. Lo vuole incoraggiare con premi, lodi e giudizi enfatizzati, ma intanto lo scoraggia, perché gli pone richieste di responsabilità alle quali non è preparato a rispondere. Possiede tutte le spiegazioni per le sconfitte e le soluzioni per vincere, perché sarebbe bastato o basterà fare come “avrebbe fatto o farebbe lui” .

Valuta solo i risultati concreti, la capacità di esecuzione e la disponibilità all’obbedienza e all’esecuzione, mentre nega valore all’iniziativa personale, alle soluzioni non previste alle intenzioni e, quindi, a tutto quanto non offre garanzie di efficacia immediata, ma è la base sulla quale si scopre e si esprime il talento.

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