Ho sempre più a che fare con ragazzi diversi per provenienza, educazione e condizione sociale e culturale e non so come fare per trattare tutti allo stesso modo. La domanda di questo istruttore è apprezzabile perché riguarda chi ha più bisogno, ma forse tiene troppo conto d’intenzioni anche lodevoli, purché non segua chi vuole trovare colpe in chi non ha disagi.
E' meglio partire da principi più generali che non riguardano solo lo sport. Che essere come si è e vivere in coerenza non è per forza un disagio. chi lo ha non trova sollievo da altri che lo accentuano per “troppa bontà”, che crea sempre un gradino non da poco tra chi dà e chi riceve. Il troppo buono, senza volere, si mette al di sopra, mentre chi ha un disagio dove ce la fa, vuole essere trattato come tutti. Ha bisogno di aiuti dove è carente, ma non di compensazioni dove ce la fa bene da solo.
La domanda viene da un istruttore, che si chiede se deve essere più attento a chi ha meno o patisce dei disagi. Lo apprezzo molto, perché vuole esercitare al meglio la propria funzione di educatore, ma faccia qualche considerazione. Ha attenzioni da dedicare a tutti, perché la sua disponibilità non si consuma, ma cresce con la risposta degli altri. Se ad alcuni dà più attenzioni, agli altri ne offre meno, e un giovane patisce queste differenze. Chi ne riceve di più, invece, potrebbe dover sentire più opprimente la sua situazione di disagio e, oppure, convincersi di poterla pretendere e perdere nel rapporto con gli altri.
Torniamo allo sport. In calzoncini corti o con gli stessi costumi, in un campo da gioco o in una piscina, tutti i ragazzi sono uguali. Ognuno, però, è unico, ed è un obbligo considerare e valorizzare questa diversità. Le qualità di ognuno devono essere curate e sviluppate perché arrivino a esprimersi e, quindi, l’obiettivo è uguale per tutti, e non è neppure possibile trattarli in modi diversi. Ci sono, ovviamente, anche differenze, perché ognuno ha qualità diverse e risponde secondo i propri caratteri, ha modi propri di apprendere e di acquisire e una dotazione che non si può nascondere. Queste osservazioni, però, nello sport valgono per tutti.
Siamo noi adulti che non dobbiamo avvertire delle differenze e, allora neppure loro ci faranno caso. Per ottenerlo, l’istruttore tenga conto di ciò che va trattato allo stesso modo per tutti. per esempio, l’osservanza delle regole comuni, il rispetto per la persona, l’impegno per portare ciascuno dove gli è possibile, la responsabilità che si deve avere nei confronti di tutti, la considerazione per ciò che ognuno è e cerca di fare. Stia, però, attento anche alle differenze. Come la dotazione, che patisce e fa soffrire se frenata o non è all’altezza delle richieste, i disagi o le asperità del carattere, che vanno corrette, ma con tanta attenzione e, di solito, delegando chi lo sa fare.
il modo migliore di proporsi con chi è meno privilegiato, quindi, è trattarlo come gli altri, senza concessioni particolari, che vanno contro il desiderio di non essere diverso, e senza voler compensare disagi che già disturbano per conto loro. Occorre, però, non trascurare un atteggiamento "individualizzato", che non significa concedere di più a chi ha meno, ma operare perché ognuno raggiunga ciò che gli è possibile, a prescindere da ciò che ha. In ogni caso, i due atteggiamenti non sono in contrasto, ma del tutto complementari, perché consentono di trasmettere e far osservare le regole comuni e, al tempo stesso, di considerare e valorizzare il singolo.
Specie tra i dilettanti ci sono differenze di condizione, provenienza sociale e cultura: occorre avere un atteggiamento uguale con tutti, oppure più flessibile e quasi individualizzato?
Il modo migliore di trattare chi è meno privilegiato è trattarlo come gli altri, senza concessioni particolari, che vanno contro il desiderio della persona di non essere diversa, e senza voler compensare disagi che già disturbano per conto loro.
Quindi, da una parte trattare tutti allo stesso modo, perché osservare regole precise, che tengano conto di tutto quanto va dal rispetto per la persona fino alla responsabilità che la persona deve avere nei confronti di tutti, è il modo più chiaro per dimostrare stima e rispetto. Dall'altra, però, occorre non trascurare un atteggiamento "individualizzato", che non significa concedere di più a chi ha meno privilegi, ma considerare ognuno per quello che è e che cerca di fare e per le capacità che possiede, agendo di conseguenza nei suoi confronti.
I due atteggiamenti, quello "comune" e quello "individualizzato", non sono, infatti, in contrasto. Anzi, sono del tutto complementari perché ci consentono di stare dentro regole comuni e al tempo stesso di valorizzare il singolo.
In una squadra ci sono differenze di condizione, provenienza sociale e cultura.
Devo trattare tutti allo stesso modo o essere più attento a chi ha meno o patisce dei disagi?
Alcune considerazioni:
in calzoncini corti e su un campo da gioco tutti i ragazzi sono uguali;
ognuno è unico, ed è obbligo dell’educazione considerare e valorizzare questa diversità;
le qualità di ognuno devono essere curate e sviluppate perché arrivino tutte a esprimersi, e quindi l’obiettivo è uguale per tutti;
poiché ognuno ha qualità diverse e risponde secondo i propri caratteri, ha modi diversi di apprendere e di acquisire di cui occorre tenere conto.
Le affinità da trattare allo stesso modo:
l’osservanza delle regole comuni, il rispetto per la persona, l’impegno per portare ognuno dove gli è possibile, la responsabilità che si deve avere nei confronti di tutti, la considerazione per ciò che ognuno è e cerca di fare.
Le differenze da trattare in modo individuale:
la dotazione, che patisce e fa patire se frenata o non è all’altezza delle richieste, i disagi o le asperità del carattere, che vanno corrette, ma con tanta attenzione e, quasi sempre, delegando chi lo sa fare.
In definitiva, il modo migliore di proporsi con chi è meno privilegiato, è trattarlo come gli altri, senza concessioni particolari, che vanno contro il desiderio della persona di non essere diversa, e senza voler compensare disagi che già disturbano per conto loro. Occorre, però, non trascurare un atteggiamento "individualizzato", che non significa concedere di più a chi ha meno, ma operare perché ognuno raggiunga ciò che gli è possibile, a prescindere da ciò che ha. In ogni caso, i due atteggiamenti non sono in contrasto, ma del tutto complementari, perché consentono di trasmettere e far osservare le regole comuni e, al tempo stesso, di considerare e valorizzare il singolo.
Specie tra i dilettanti ci sono differenze di condizione, provenienza sociale e cultura: occorre avere un atteggiamento uguale con tutti, oppure più flessibile e quasi individualizzato?
Il modo migliore di trattare chi è meno privilegiato è trattarlo come gli altri, senza concessioni particolari, che vanno contro il desiderio della persona di non essere diversa, e senza voler compensare disagi che già disturbano per conto loro.
Quindi, da una parte trattare tutti allo stesso modo, perché osservare regole precise, che tengano conto di tutto quanto va dal rispetto per la persona fino alla responsabilità che la persona deve avere nei confronti di tutti, è il modo più chiaro per dimostrare stima e rispetto. Dall'altra, però, occorre non trascurare un atteggiamento "individualizzato", che non significa concedere di più a chi ha meno privilegi, ma considerare ognuno per quello che è e che cerca di fare e per le capacità che possiede, agendo di conseguenza nei suoi confronti.
I due atteggiamenti, quello "comune" e quello "individualizzato", non sono, infatti, in contrasto. Anzi, sono del tutto complementari perché ci consentono di stare dentro regole comuni e al tempo stesso di valorizzare il singolo.pill
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