Ha senso una formazione in cui s’insegnano trucchi e furbate, mentre potenzialità si scoprono e si manifestano usando le qualità del proprio talento?
In una vecchia conferenza in coppia, a una mia affermazione che i trucchi e le “furbate” sono i più grossi ostacoli al talento, Boskov, da finto ingenuo, mi disse: “Se Vialli si butta in area e si procura un rigore, che faccio? Lo metto fuori?” In effetti, lui parlava di uso del talento già formato, ed io di come formarlo, e ci siamo spiegati.
Questo discorso, riferito all’adulto, può sembrare una specie di moralismo o la ricerca della purezza assoluta, ma è evidente che i grossi campioni preferiscono usare il talento. Inoltre, in un gioco di automatismi, due pensieri tra loro contrari nella testa non ci stanno: o si pensa al trucco o al gesto tecnico vero.
“Sono situazioni isolate, una volta ogni tanto” dice qualcuno, ma d’istinto la mente sceglie il gesto più efficace subito, in questo caso certamente la furbata, ma poi si abitua senza neppure rendersene conto. E allora addio allo sviluppo del talento, che nello sportivo evoluto prosegue fino al termine della carriera.
Criticare, però, è facile. Lavorando con i giovani, bisogna tenere conto dei genitori che a ogni copula fanno un campione, degli allenatori che, come troppi genitori con la scuola, hanno almeno un fuoriclasse solo da addestrare, o delle società, che valutano l’allenatore dalla classifica, ma occorre farlo. Una volta è stato fatto, con risultati mai raggiunti né prima né dopo, ma in un ambiente non pronto. Qualcuno dice di farlo, ma racconta storie. Dice: “Si fa fuoco con la legna che si trova”, ma con quella che si è cercato di far crescere senza difetti si lavora meglio, ed è l’unica dalla quale si può ricavare un’opera d’arte.
Vediamo alcune furbate anche estranee a quanto si è appena detto. C’è chi vuole giocare alla "sudditanza psicologica" con gli arbitri, e cerca tutti i modi per condizionarli con finezze e stratagemmi. Autorizza gli allievi a simulare per aizzare il pubblico, a lasciarsi andare a vittimismi e reclamare anche se hanno torto, ad alzare subito il braccetto dell’innocenza per confondere l'arbitro, o a circondarlo per creargli dei dubbi e indurlo a compensare una decisione contraria con una favorevole. Forse qualche arbitro s'impressiona per certi modi reattivi o per esibizioni di vittimismo, ma è meglio lasciar stare, perché è più probabile riuscire a vincere con la sicurezza e la concentrazione sul gioco. E gli arbitri, per lo meno ce lo auguriamo, decidono con la testa loro e si aspettano squadre e giocatori corretti, rispetto per le loro decisioni e per l'avversario e cooperazione per far andare bene la gara, ed è facile immaginare che qualche volta siano più severi proprio nei confronti dei furbacchioni.
C’è chi parla di concentrazione sulla gara e poi li fa deconcentrare con la solita serie di “consigli” che non hanno nulla a che vedere con il gioco. Oppure li istiga a rinunciare all'azione pulita invece di giocarsela tutta per imparare e condurla fino in fondo o, almeno, per fare il possibile. Andando avanti così, però, non insegna gioco, ma trucchetti che, se proprio si vuole, s’imparano in cinque minuti e a qualsiasi età. In ogni caso, l'agonismo esasperato non lo insegna, ma se un atleta è corretto, col tempo si farà conoscere e potrà essere sicuro di non essere mai frainteso, e in tal modo, forse, riuscirà anche a garantirsi un occhio di riguardo, che non vuole dire avere dei favoritismi, ma essere sempre credibili. Inoltre, se per condizionare l'arbitro li autorizza, o meglio li spinge, a mettere in atto manovre o manfrine invece di pensare a giocare, una volta riesce a vincere una partita, ma svilisce il gioco e non fa nulla per il futuro.
A volte le furbate al momento riescono, ma è sempre negativo anche solo consigliarle. L’allenatore di una squadra di sedicenni si gloria: "Ho un attaccante che mi procura un rigore a partita, appena arriva in area cade e l'arbitro ci casca". Questo significa fare un gioco sporco per l'oggi e non arrivare allo sport dell'adulto: il ragazzo può far vincere la partita ora, ma non impara tutto ciò che gli servirebbe per vincere a formazione terminata, quando, a ogni livello dello sport, si gioca per vincere, e i trucchi sono l'ultima risorsa quando mancano i mezzi tecnici.
I genitori che procreano solo campioncini, invece, dicono: "Nello sport conta vincere, non importa come. E poi, si arrangiano tutti!". Certo che si fa sport per vincere, perché la natura dice che raggiungere le posizioni che competono è forse la più forte motivazione, ma se la vittoria arriva attraverso manipolazioni e fuori dalle regole comuni, si fa poca strada. Poiché, piaccia o no, parlare di sport significa vedere l’adulto che vogliamo formare, con questi sistemi prepariamo il tipico insicuro che cerca scorciatoie perché si sente troppo debole e vulnerabile per misurarsi alla pari. Nello sport, poi, non possiamo allenare e abituare un giovane ad aggirare gli ostacoli invece di sviluppare le risorse e i modi necessari per affrontarli. Le prove impegnative e difficili, infatti, chiamano in causa e sviluppano il talento, l’attenzione, la sicurezza, la creatività e l’iniziativa, in pratica l’ingegno e il carattere, che sono anche le vere qualità dell’agonismo.
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