Pillole

Si crede che ascoltare sia un comportamento passivo, quasi un sottomettersi a qualcuno che vuole far prevalere le proprie opinioni.

È vero, ma solo nei casi in cui uno vuole imporre la propria supremazia e l’altro spera di conquistarsi almeno un po’ di attenzione.
Questi casi, nei quali non c’è scambio, ma imposizione da una parte e disagio personale dall’altra, non fanno parte di questa trattazione.

Saper ascoltare è segno di considerazione verso l’"altro" ma, allo stesso modo, lo è anche chiedere di essere ascoltato. Quest’affermazione, che interessa anche i rapporti tra adulti, può essere rivolta ugualmente alla famiglia, alla scuola e allo sport. In tutte le tre situazioni, infatti, il giovane che chiede per sapere mostra apprezzamento per l’adulto, lo ritiene indispensabile per avere le indicazioni utili per fare da solo, è disponibile a mettere in atto ciò che impara e non ha motivi per coltivare ostilità, dissenso o indifferenza.
La semplice disponibilità dell’adulto ad ascoltare ha effetti educativi apparentemente impensabili sul giovane. Sulla sicurezza perché, sentendo di essere considerato per le sue opinioni, le sostiene con maggior convinzione anche con gli altri. Sull’autostima e sul coraggio, perché l’apprezzamento e la condivisione dell’adulto lo garantiscono di potersi avventurare nel nuovo, dove l’esito positivo non è assicurato. Sull’iniziativa autonoma e sull’esercizio creativo, perché la certezza sulle proprie opinioni permette di agire senza il freno del dubbio e dare sfogo a intuizione, originalità e creatività, che sono i livelli ai quali si esprime il talento.
Attenzione, però. La possibilità di venire a contatto con il dubbio, di avere pronte le soluzioni e di avere l’adesione del giovane rischia di essere negativa. Si possono dare soluzioni già pronte, e questo è l’errore. Il giovane ha bisogno di imparare a trovarle da solo, e di solito chiede per verificare la propria, mentre quella dell’adulto lo convince che la sua è sbagliata e non conta.

La ricerca di ascolto è anche una richiesta di aiuto, e allora occorre stare attenti. Si devono dare solamente le spiegazioni richieste per risolvere un dubbio che impedisce di superare una difficoltà o di colmare la mancanza di una conoscenza, e poi lasciare che il giovane vada avanti da solo. Si devono, quindi, evitare spiegazioni banali e comuni e, ancora di più, le soluzioni già elaborate e definitive, che appiattiscono la creatività e l’iniziativa.
Nella famiglia, ascolto è riconoscimento della specificità del bambino, offerta d’attenzione e rapporto che appagano soprattutto bisogni affettivi. Nella scuola, specie dopo le elementari, l’ascolto è più finalizzato al chiarimento di concetti, alla risoluzione di dubbi e all’aiuto per la soluzione di qualche difficoltà, e sono sempre importanti gli effetti sul carattere e sull’acquisizione di sicurezza.

Nello sport, l’ascolto permette di comprendere il carattere, i modi di imparare, l’emotività e la dotazione intellettiva dell’allievo. Di conoscere le difficoltà che incontra nell’ambiente, con i compagni e con l’istruttore. Di scoprire certe paure o insicurezze che possono agire sull’evoluzione o sul rendimento. Di rispondere a dubbi reali, stimolarlo a rispondere con fiducia e senza paura, e intervenire per tutelare gli allievi più fragili e insicuri in difficoltà con i compagni.
Nella formazione che cerchiamo, l’ascolto serve certamente per conoscere l’allievo e risolvere dei disagi, ma è anche uno strumento per sviluppare la persona e lo sportivo. Permette di conoscerne le risorse e le capacità dell’allievo, di capire come e quanto ha assimilato gli insegnamenti e, quindi, i modi più efficaci per insegnare e per educarlo. Di capire come ci percepisce, se ci patisce, se abbiamo qualità e modi che sono più o meno efficaci e, se è il caso, come correggerci.
Come si comporta l’istruttore perché l’allievo si senta rassicurato? Lo ascolta, e se ha un'idea valida, la valorizza, la mette subito in pratica e ne aspetta altre. Se, invece, non lo è, gli esprime la propria opinione, gli spiega dove sbaglia e lo apprezza perché ha tentato di produrre qualcosa di suo. E non gli dice semplicemente che cosa deve fare, perché, se ne avesse le conoscenze, la possibilità o il coraggio, lo farebbe da solo.

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