Nella formazione, l’insegnamento è affidato all’iniziativa del singolo, che ripropone le proprie esperienze di allievo, si affida ad esperienze vissute da altri o alle verità di tanti guru impreparati.
Nello sport, la formazione è ancora una parola con troppi significati, e non tutti innocui. Manca un modello comune che sappia scoprire, sviluppare e far cooperare le qualità della mente, moderare e rendere vantaggiosa la parte emotiva della personalità e trattare ciò che è specifico del singolo. In pratica, si dice come fare imitando il gesto del campione, si correggono le iniziative che rispondono alle attese di chi insegna e si trascura ciò che è specifico di ognuno, che si manifesta soltanto quando il momento richiede una soluzione imprevista.
Si trascurano, quindi, l’ingegno, la creatività e l’invenzione, che sono i caratteri essenziali del talento.
L’insegnamento è lasciato all’iniziativa del singolo, che è influenzata dall’esperienza vissuta da giocatore o dalle prime conoscenze acquisite da allenatore, tenuta nascosta e non condivisa per timore di offrire vantaggi ai colleghi, ma anche con lo svantaggio di cogliere cose nuove da nessuno. Oppure, si limita a modi perlopiù tratti dal “come si è sempre fatto” e dal buon senso comune, che spesso è più dannoso del non far nulla.
Il metodo d’insegnamento adatto da sempre al giovane deve essere adeguato alle sue reali possibilità e ai cambiamenti che intervengono nel procedere dell’età. Altrimenti non impara, oppure acquisisce e memorizza, ma non arriva a criticare, decidere e creare da solo. In pratica non “impara a imparare”, che è il carattere di base dell’autonomia e dell’iniziativa personale.
Deve portare ognuno a scoprire ed esprimere tutte le qualità che possiede, che non sono solo fisiche o tecniche, ma anche la capacità di assimilare, criticare, arricchire, creare e applicare, che dovrebbe essere l’essenza del carattere e della personalità dell’adulto. Nella famiglia, per esempio, s’interviene sul momento e sulla singola situazione, mentre sarebbe necessario sviluppare un progetto educativo da seguire nel tempo e che porti all’adulto autonomo che pensi e decida e assuma le responsabilità che gli competono.
A proposito di progetto, nessuno si può fare il proprio, e neppure si può aspettare il solito guru che ne fa uno fantasioso per tutti o il capopopolo che, nella domanda, ha già inserito la risposta. Servono delle tracce, ma poi ognuno deve provare, valutare e cambiare seguendo delle indicazioni provate e confrontandosi, finché arriva alla soluzione migliore, che si avvicinerà sempre di più a quella più logica e comune. In caso contrario, tanti genitori imporrebbero il progetto che a loro stessi non è stato possibile rendere concreto, o quello che l’ambiente considera più prestigioso, e magari vorrebbero dirigere il figlio come fosse un cavallino da circo.
Non ha, quindi, significato logico voler agire su qualità e mezzi che l’allievo non possiede, perché significa inevitabilmente trascurare quelli reali, che si scoprono e si esprimono solo nella libertà di scegliere, provare e correggere gli errori, fino ad arrivare alle proprie soluzioni, che sono le uniche possibili.
Infine, forse il compito più importante dell’insegnamento è l’opportunità, per chi insegna, di vivere e trasmettere i caratteri della vita adulta, in particolare le regole, che dovrebbero essere inderogabili. Questa funzione è implicita in tutto il periodo dello sviluppo e, se svolta bene, anche più tardi, perché l’acquisizione da modelli credibili dovrebbe far parte di tutta la vita della persona.
Infine, occorre tenere conto che il bambino non nasce come un foglio bianco. Ha caratteri ereditati sui quali costruisce le esperienze successive, ma lo stile di vita si forma sulle impressioni acquisite dagli adulti significativi nelle prime fasi dell’infanzia. Impressioni che dopo difficilmente si modificheranno perché, nello sviluppo successivo, il bambino tenderà a spiegarsi in base ad esse ciò che accade e a uniformarvi le nuove esperienze e acquisizioni.
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