I conflitti allenatore-genitore sono meno frequenti di quanto si creda, ma bastano pochi genitori incontrollabili per guastare il lavoro di tutta una squadra.
Quando si parla con allenatori, la domanda più frequente riguarda i genitori: “Come difendersi e neutralizzarli?”. A volte hanno ragione, ma esagerano, perché non tutti sono da cacciare dal campo, dalla palestra o dalla piscina. Prima di giudicarli una presenza solo negativa, quindi,
occorre tentare di recuperarli, perché la formazione allo sport è un atto educativo che li deve coinvolgere.
I tentativi sono stati fatti quasi tutti. C’è chi ha provato a tirarli dalla propria parte cercando di accontentarli in qualche richiesta o, almeno, di neutralizzarli, ma non ha toccato il tasto giusto, perché un genitore è sempre convinto di agire nel bene del figlio, e non ci sta a rinunciare ad aiutarlo. Chi ha corretto qualche modo magari un po’ brusco o si è fatto più cordiale, ma non ha migliorato troppo in diplomazia e sopportazione. Chi li affronta alzando la voce, ma prendere di punta un focoso convinto di avere ragione non porta a buoni risultati. E chi li blandisce per ammansirli o cerca alleati tra gli altri genitori per metterli contro. Oppure, ancora, chi dice cosa dovrebbero fare o non fare senza spiegare perché e i danni che il loro comportamento può causare ai figli.
Tutti, però, se lamentano lo stesso problema, hanno in qualche modo esasperato il conflitto o, almeno, non hanno risolto l’incomprensione. E allora, che cosa fare? Non è facile a dire, perché nello sport il genitore fa bene la propria parte quando non fa nulla o, almeno, non coinvolge il figlio. Inoltre, non sa di essere negativo, tanto che il più problematico spesso è proprio quello che lo vuole aiutare.
Occorre fare qualche considerazione: non possiamo solo parlare di villania, rozzezza o arroganza di certi genitori. Molti allenatori dicono di aver abbandonato i vecchi sistemi direttivi senza riuscire a risolvere il problema, ma forse hanno qualche colpa anche loro. È difficile modificare modi e sistemi nei quali si è cresciuti solo decidendo di cambiare rotta rispetto al passato. Chi ha deciso di modificare i propri concetti educativi passando dal portare per mano o dal dare tutto pensato e deciso all’insegnare a camminare da soli o alla libertà di creare, deve cambiare qualcosa anche di se stesso, altrimenti mostra la stessa mentalità che rimprovera al genitore. Per esempio, diventa più controllato quando vuole stimolare l’allievo al massimo impegno; lo rimprovera come prima, ma con garbo e modi più sfumati; dà valutazioni meno perentorie; cerca di non perdere la calma e parla con toni più distaccati, anche se spesso con una distanza più negativa di una sfuriata. Invece di ordinare spiega che si può fare "solo in quel modo" e, quando deve rimproverare, usa toni meno risoluti e controlla meglio la delusione; misura meglio le lodi e l'euforia, e premia con riconoscimenti più motivati, anche se spesso manipolativi. Altri che, invece, si credono più difesi dalla loro modernità, finiscono per essere ancora più direttivi e meno tolleranti, ed esasperare ancora di più i conflitti. Oppure, com’è avvenuto in altri campi, cercano rapporti più amichevoli, ma perdono autorità e diventano delle vittime.
Oltre a queste considerazioni, al genitore offriamo qualche semplice consiglio. Il primo, che lo sportivo che percorre più strada è quello "normale", che vive lo sport come gli altri momenti della vita, senza che gli inventino nulla di artificiale e forzato. È capace di pensare, creare, scegliere, decidere ed essere responsabile senza che qualcuno glielo imponga, e intanto è pronto a condividere e collaborare con chiunque abbia qualcosa da proporre. È una normalità facilmente raggiungibile, ma non a portata di mano, che non può essere insegnata o trasmessa, ma va “concessa” da una parte e conquistata dall’altra. È, invece, impossibile da conquistare se vogliamo plasmare i figli come una materia inerte solo da modellare.
Il secondo che, prima di pensare a cosa fare o che cosa insegnare, occorre non creare resistenze e inutili opposizioni. Il figlio che ha la possibilità di esercitare l’iniziativa e la libertà che sa gestire, non è spinto a opporsi da conflitti inutili e, quindi, accetta di essere corretto, può sentirsi abbastanza sicuro da mettersi alla prova ed ha già da solo gli stimoli e le motivazioni per fare ciò che gli è possibile. Quando, invece, lo vuole stimolare con premi e lodi o anche solo con parole, al massimo il genitore lo rassicura perché gli è vicino, ma lo farebbe meglio limitandosi a essere presente e disponibile ad aiutarlo quando gli è richiesto. Mentre, se lo vuole “costringere” con punizioni, giudizi negativi o un distacco per farlo sentire in colpa, deve aspettarsi della resistenza o, forse di più, il desiderio di deluderlo.
Il terzo, che l'affetto sicuramente incoraggia, ma lo fanno di più e meglio l’apprezzamento e la possibilità di fare insieme. Questa considerazione sconsiglia il genitore di creare tensioni e distanza tra il figlio e l'allenatore o i compagni, ma, in particolare, gli dice che non gli deve offrire occasioni o strumenti per avvantaggiarlo sugli altri. Se li ha, ma faccia attenzione a non crederlo solo lui, li offra in modo che il figlio li possa usare per fare insieme con gli altri e possa imparare anche da loro.
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