Perché mi devo vergognare se dico che mio figlio è il migliore?
E perché dicono che noi genitori siamo i responsabili dell’insuccesso dei figli?
È bello ma pericoloso illudersi che il proprio figlio sia il migliore, o che basti farglielo credere perché lo diventi. Nello sport i talenti veri sono rarissimi, mentre gli altri sono sempre pure invenzioni dei genitori.
Ma il proprio figlio può anche essere un fenomeno. E allora limitiamoci ad aiutarlo perché raggiunga i livelli che gli sono possibili, che è il massimo per ognuno. Mentre siamo sempre diseducativi e corriamo rischi quando lo obblighiamo a dimostrarlo.
Nello sport, il genitore privo di misure è quello che:
- incita il figlio a utilizzare mezzi furtivi e sleali o a svalorizzare gli altri;
- usa stimolazioni eccessive, convinto che queste siano sufficienti per ottenere risultati impossibili.
- crede di poter far riscattare dal figlio i propri fallimenti o di poter ottenere una gloria riflessa dai suoi successi;
- è convinto che le regole e la ricerca di vantaggi collettivi siano vincoli alla completa autorealizzazione. Oppure, in modo più o meno consapevole, si sostituisce al figlio nella ricerca di qualsiasi mezzo adatto a vincere;
- di fronte ai suoi insuccessi diventa, di volta in volta, protettivo, autoritario, servile o manipolativo;
- gli presenta una realtà falsata, e dunque deresponsabilizzante o scoraggiante.
In tutti questi casi si assiste a una sopravvalutazione, e quindi a un inganno destinato a essere smascherato. Il gioco, infatti, ristabilisce sempre le giuste graduatorie, ed è molto più severo con chi non ha una cosciente misura di sé: lo obbliga a ricorrere a qualsiasi mezzo per restare a galla, e, quindi, a pagare con profonde insicurezze. O lo obbliga a difendersi da tutto, e in particolare dal pericolo dell'errore, piuttosto che a creare.
Il giovane che ha una misura non obiettiva dei suoi mezzi o è obbligato a confermare giudizi eccessivi e non realistici, è indotto a:
- credere di avere e conoscere quanto basta per primeggiare e quindi di non avere bisogno di migliorare;
- fuggire tutte le situazioni che richiedono apporti originali e creativi, che non è abituato a cercare e fornire;
- cercare la competizione solo per difendere un'autostima non fondata;
- reagire all’indifferenza o all’ostilità degli altri sviluppando sentimenti persecutori e rapporti alterati con l'ambiente;
- e, con il tempo, considerarsi sconfitto o frequentare solo i campi garantiti.
In definitiva, il genitore che usa menzogne, manipolazioni o messaggi non comprensibili, anche se non vuole manifesta una mancanza di stima nei confronti del figlio. E gli nuoce, perché lo sovraccarica di responsabilità che egli non comprende, ma soprattutto perché si rende lontano e scoraggiante.
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