Mio figlio sta sempre in panchina, eppure quando l’ho iscritto mi hanno detto che era un talento, e anche adesso gioca meglio di altri che non ci vanno mai.
Poiché non conosciamo il caso, immaginiamo tutti in buona fede e limitiamoci a qualche considerazione.
Le attenzioni della società:
- essere chiara fin da subito (pur tenendo conto che lo sviluppo può modificare il giudizio iniziale);
- non coltivare illusioni nel ragazzo e nella famiglia solo per incoraggiare e dare stimoli;
- presentare lo sport come un momento formativo, e non come preparazione a una carriera certa;
- se un ragazzo non interessa più, spiegare i perché delle decisioni e non cadere nelle piccole ingiustizie perché i genitori “capiscano da soli”;
- prima della bocciatura assicurarsi di aver sviluppato tutte le qualità del ragazzo;
- le pressioni sull’allenatore per vincere con ogni mezzo oggi impediscono di vincere domani.
Le attenzioni dei genitori:
- essere obiettivi e tenere conto della realtà: non basta convincere il figlio che tutto gli è possibile;
- perché al grande sport arriva uno ogni 30-40.000;
- ognuno ha mezzi ben definiti, e illudersi e illuderlo di essere un campione non cambia la realtà, ma lo espone a non sviluppare le qualità, piccole o grandi, di cui dispone;
- sentirsi tollerato come punto debole, andare sempre in panchina, essere l’ultima scelta e perdere nel confronto con i compagni sono sentimenti che porteranno a un adulto insicuro e perdente;
- il calcio è lo sport che crea più illusioni, ma non è l’unico: il giovane potrebbe crescere meglio e con più piacere in un altro;
- portarlo in una squadra dove può vincere o perdere e non essere già sconfitto prima di giocare;
- stare qualche volta in panchina non è un torto, ma starci sempre sì.
Le attenzioni dell’allenatore
- nelle giovanili si lavora per il domani, e vincere con qualsiasi sotterfugio non basta neppure all’oggi;
- l’ingiustizia patita da bambini diventa un cattivo insegnamento per la vita adulta;
- la ricerca della vittoria con mezzi e modi fraudolenti va contro lo sviluppo delle qualità reali;
- imparare a dire le cose come sono, perché un confronto franco è meglio di una finzione;
- immedesimarsi nella delusione e nell’umiliazione di un giovane, non per eliminarle sempre, che non è possibile, ma per renderle tollerabili e, quando è possibile, educative.
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