Partite giovanili: risse, bestemmie, offese gratuite...
... perenni conflitti tra arbitri e genitori con questi ultimi che non si rassegnano al ruolo di spettatori e che, addirittura, ripudiano quello di educatori.
Il fenomeno dei 'genitori-tifosi', che spesso oltrepassano il limite della decenza, è in crescita esponenziale. Ma cosa sta accadendo? Come mai il numero di praticanti aumenta e la cultura sportiva diminuisce? Una risposta la fornisce Annamaria Meterangelis, ex nazionale juniores di basket, psicologa e docente di Psicobiologia dello Sport (Scienze Motorie-Cassino).
"Tutti vogliono vincere e una sconfitta nello sport viene vissuta come se fosse una sconfitta nella vita. La nostra generazione è cresciuta conoscendo solo le leggi del sudore e del confronto leale con il proprio gruppo e con gli avversari. Le sconfitte e le vittorie ci hanno dato l'opportunità di riconoscere le capacità degli altri attraverso le quali abbiamo coscientizzato le nostre capacità e i nostri limiti, accettando sia gli uni, sia gli altri. Il feedback genitoriale tutt'al più era quello dell'impegno maggiore, e le colpe erano sempre nostre e mai degli altri. Ora vige la legge della prevaricazione, della prepotenza della conquista facile e, di fronte alla sconfitta, si vivono drammi esagerati".
Molti genitori non riescono ad accettare che i loro figli giochino spensierati, si divertano, si confrontino correttamente e, perché no, perdano. Troviamo così padri che, aggrappati come scimmie alle reti di recinzione dei campi in cui giocano a calcio i loro bambini, urlano come ossessi contro tutto e tutti, intimidiscono i piccoli avversari, minacciano l'allenatore. Il partito dei genitori che vogliono la vittoria a tutti i costi è purtroppo prevalente e così ci ritroviamo in campo undicenni che, scimmiottando i gesti dei campioni, inscenano simulazioni, insultano compagni, avversari e arbitri, scatenano reazioni, provocano scontri.
Ma le conseguenze di simili atteggiamenti non si limitano a questi siparietti più o meno squallidi. Sono molto molto più gravi. Famiglie e genitori 'disturbati' produrranno bambini e poi adulti disadattati. E atleti incapaci di affrontare le ansie della gara e l'estrema aleatorietà che permea tutto il fatto sportivo. In poche parole, atleti perdenti.
"Nonostante la famiglia non sia più l'unica sede privilegiata dell'educazione – prosegue Meterangelis – che oggi viene delegata in larga misura anche ad altre istituzioni, come asili, scuole, associazioni, rimane pur sempre l'insostituibile crogiuolo della personalità. È ormai un dato accertato in psicologia che, per intraprendere con successo il cammino accidentato della vita, occorre avere interiorizzato la certezza dell'amore materno e una sana identificazione emulativa con l'immagine paterna. Spesso, viceversa, la funzione che molti genitori stabiliscono nei riguardi dei propri figli – eccessiva severità o permissività, rifiuto o alienazione – porta a comportamenti pedagogici negativi che esercitano una forte incidenza sulla personalità infantile in evoluzione".
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Lo studio
Il fatto che l'atleta di successo sia un individuo 'sicuro', nel senso che si rifà a un 'capitale di certezze' depositato nei vissuti infantili, da cui può sempre attingere, è un dato che si può desumere dai risultati ottenuti attraverso l'applicazione di una serie di test su un gruppo di campioni olimpici. Smith e Anderson hanno constatato nella loro ricerca come questi atleti fossero caratterizzati da autosufficienza, da una ottima immagine di sé, da una buona resistenza alle frustrazioni e da un atteggiamento fiducioso ed ottimistico verso la vita.
Una sana cultura della sconfitta
Lo sport serve perché s'impara oltre che a vincere anche e soprattutto a perdere e vincere non significa sconfiggere gli altri, vuol dire impegnarsi al meglio, vuol dire affrontare le difficoltà impreviste dal momento che non tutto è pianificabile a tavolino.
"Una "sana" cultura della sconfitta ha dentro di sé alcuni valori formativi, poiché costituisce l'occasione per rielaborare "vissuti" esperienziali – precisa Meterangelis – con la consapevolezza che ci saranno altre occasioni per sperimentarsi. Lealtà, solidarietà, sacrificio, tolleranza, rispetto delle regole e dell'avversario, accettazione della sconfitta sono valori che stimolano e regolano il proprio comportamento, che insegnano a gestire emozioni ed affettività, che contribuiscono a migliorare la relazione con se stessi e con gli altri. Tutto ciò, in una prospettiva psicopedagogia, si configura come una modalità propositiva alla costruzione dell'autostima e dell'autosufficienza che conducono in modo naturale a una maturità consapevole ed equilibrata ".
5 ottobre 2007 – "per gentile concessione dell'autrice e di Gazzetta dello Sport"
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