Formazione

Per formare uno sportivo che ha prospettive di carriera non occorre sconvolgere i propri metodi, ma passare dal trasmettere informazioni e comandi uguali per tutti alla libertà dell’allievo di portare contributi personali e avventurarsi nel nuovo e nello sconosciuto, dove risiedono le facoltà superiori della mente e il talento. O, in altri termini, di passare dall’interprete passivo al protagonista attivo, o dall’esecutore al creativo.

Che cosa chiede il talento all'istruttore?

Queste osservazioni interessano chi ha prospettive di carriera che deve essere abituato a migliorare e a scoprire tutte le qualità di cui dispone ma, per quanto è possibile, possono riguardare anche chi pratica sport per divertimento.

L’istruttore che serve ha facilità a insegnare, perché chiede una partecipazione attiva dell’apprendimento. Si aspetta che tutti mettano in pratica ciò che insegna, ed è anche preparato a operare singolarmente sulle qualità di ognuno. Ne indaga e riconosce il talento, e ne sviluppa e valorizza l’abilità e l’ingegno che sono soltanto suoi. E così crea un’atmosfera di gioco e libertà espressiva perché impari e non si opponga.

Sviluppa le qualità di ogni allievo, che non significa proporre un insegnamento diverso a ognuno, ma permettere a tutti di esprimere le proprie opinioni e vederle applicate se originali e creative, provare soluzioni personali e non concordate e discuterne insieme.

Allena l’apprendimento, ma anche le qualità e le funzioni più elevate dell’intelligenza, come la creatività e la critica, che è capire, valutare e inventare il nuovo, che è il livello più alto dell'ingegno. Basti pensare che un soggetto creativo, meno arrendevole se si vuole costringere a un’obbedienza passiva e, spesso, convinto di valere più degli altri, deve potersi sentire libero di esercitare ed esprimere tutta l'inventiva, che è l’unico modo di arrivare al proprio talento, altrimenti si ribella o si adatta a essere un semplice esecutore.

Cura qualità e facoltà come essere leader, saper imparare e correggersi, conoscersi e utilizzarsi, gestire l'iniziativa libera e la responsabilità non controllata e guidata, agire con coraggio e sicurezza quando affronta il nuovo anche dove è possibile sbagliare Tutto questo può essere visto come concessione di una libertà senza controllo, ma c’è nulla di più responsabilizzante che vedere apprezzata e valorizzata la propria opinione e sentirsi partecipi attivi di un compito comune.

Pretende l’osservanza delle regole. Anche il talento trasgredisce o tende di più ad agire di testa propri senza badare all’interesse comune e, per esuberanza e l’autostima che gli consente la maggior dotazione, forse più degli altri. Come si deve fare con tutti, però, va corretto, ma non punito, perché la punizione crea ostilità, voglia di vendicarsi e desiderio di opporsi perché, di lì in poi, non si parla più di collaborazione, ma di autoritarismo al quale è lecito opporsi. E allora, accettare tutto? Se si vuole portare un giovane verso la vita adulta, occorre abituarlo ad accettarne le regole: a ogni comportamento non accettabile, deve seguire una conseguenza naturale e mai un vantaggio. Un paio di esempi banali. Se chi si considera sopra di tutti, arriva in ritardo all’allenamento perché la prima parte è noiosa e lui se lo può permettere, si ferma a farla da solo mentre gli altri sono già sotto la doccia. Se è arrogante e litigioso durante la gara, esce perché “è troppo nervoso e rischia di farsi espellere”.

Rispetta i tempi dello sviluppo. Il talento, almeno prima dei dieci, undici anni, sembra in anticipo nei confronti degli altri, ma ha uguali necessità e bisogno delle stesse cautele. Ha bisogno di gioco libero, mentre patisce le spiegazioni teoriche, l’esecuzione di ordini e l’attività intesa come lavoro, cioè fare qualcosa che pesa e non diverte ora in vista di vantaggi futuri.

Sul pratico, non pretende più di ciò che un talento può dare, e gli permette di fare ciò che è possibile solo lui. Lo autorizza a fare anche di testa sua man mano che acquisisce conoscenze e responsabilità e, poiché può più degli altri e impara prima, lo porta a dare quanto è permesso alla sua creatività. Lo aiuta a scoprire e usare le sue qualità e ad armonizzarle con quelle degli altri, perché quelle che non riescono a esprimersi in modo costruttivo possono renderlo non adatto allo sport.

Non gli offre conclusioni già preparate, ma gli fornisce spunti dove sembra fermarsi, in modo che arrivi agli obiettivi con le proprie soluzioni. In questo modo, lo lascia libero di produrre quando la creatività procede sul versante utile, e lo abitua a imparare anche da solo, ma lo frena se sbaglia, cerca di capire cosa c'è dietro l’errore e lascia che si corregga da solo.

Perché non produca per conto proprio e si adatti alle esigenze comuni, lo abitua a creare insieme con gli altri, a mettere la miglior dotazione al servizio di tutti e lavorare per alzare il livello complessivo della squadra.

Vincenzo Prunelli

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