Pillole

Il richiamo alla volontà è l’ultima risorsa quando non si è sicuri della maturità degli allievi, si crede sempre che una gara si perda per mancanza d’impegno o, invece, che basti per arrivare anche dove è impossibile. Sulla volontà s’insiste troppo, come fosse un tratto del carattere sempre decisivo, quasi un pregio che si richiama a comando e sempre a disposizione che basta sollecitare per avere un risultato sempre positivo. È, invece, uno stimolo interiore che si ravviva spontaneamente quando s’insegue un traguardo appagante che si sa di poter raggiungere, o si spegne di fronte all’impossibile.  

La volontà, uno strumento da maneggiare con cura

Chiederla al bambino è un controsenso, perché impone uno sforzo e un impegno pesanti e senza gioia. Il bambino vive qui e ora e non sa vedere i tempi lunghi e, quindi, è inutile chiedergli di fare qualcosa che costa fatica e non diverte adesso. Nelle età successive, invece, dovrebbe essere un impegno tollerato in vista di un obiettivo più appagante.

Non si ordina, e, quando si cerca di stimolarla, si fa vedere che manca. E, soprattutto, non si tiene conto che le più forti motivazioni sono il piacere e il divertimento, mentre la volontà, da sola, non li stimola. L’impegno, infatti, dipende dalla sicurezza di poter competere per la vittoria, dalla consapevolezza dei propri mezzi e dal piacere di usarli, da precedenti gare e condizioni positive che si è motivati a ripetere, dal sentire di potercela fare e di essere all'altezza o, almeno, di cadere in piedi se si perde.

Se uno sportivo non ha fiducia nelle proprie risorse e ha paura della sconfitta, chiedergli volontà è inutile, perché l’inerzia e la passività sono mancanza di sicurezza, iniziativa e obiettivi appaganti, una condizione che, più si cerca di stimolare, più si sente che non basta e non è possibile darsela. Non si sente abbastanza capace e, intanto, prova l'affanno di giocarsi tutto a ogni prestazione. Sta più attento a evitare gli errori che a creare ed ha difficoltà a usare gli automatismi perché è frenato da calcoli e precauzioni.

La volontà non è inutile né, tantomeno, negativa, perché ogni conquista ha anche bisogno di sforzi non appaganti per essere raggiunta. L'istruttore, e dopo l’allenatore, hanno il compito di incoraggiare e di stimolare l’entusiasmo e l’iniziativa. Non li possono ordinare, ma hanno la possibilità di operare sulle motivazioni, che sono i motivi interiori per fare che si modificano seguendo lo sviluppo. Lo sportivo, infatti, trova gli stimoli nelle proprie esperienze positive, nella consapevolezza vissuta nei propri mezzi, nel piacere di fare e nel desiderio di misurarsi e di migliorare ciò vuole raggiungere.  Nel bambino, con il gioco, soddisfano il piacere per ciò che sta facendo ora, la crescente padronanza dei gesti, la verifica dei progressi e la scoperta e l’affinamento di abilità, lo sfogo dell’iniziativa, la consapevolezza di poter affrontare situazioni inesplorate, fare bene ciò che è possibile e il bisogno di verificare le proprie forze. Su un piano più intimo, gli stimoli sono la possibilità di superare l’insicurezza verso ciò che è sconosciuto e non sa dominare, conquistare l’apprezzamento dell’adulto e superare la propria inadeguatezza nei suoi confronti. Nel giovane che si sa già impegnare in vista di obiettivi futuri, le motivazioni soddisfano la possibilità di creare senza dover seguire schemi rigidi, raggiungere i traguardi adatti alle proprie possibilità, ridurre e annullare la distanza che lo separa da ciò che era troppo lontano e poter accedere da solo a nuove abilità e conoscenze.

La volontà si può anche frenare. Se l’adulto vuole incitare un giovane con una specie di recita o cerimonia, lo convince che può ricevere aiuto soltanto da un intervento esterno, che diventa indispensabile, sostituisce la volontà e forma lo sportivo che si affida per essere soccorso. In ogni campo della vita si cerca di dare carica e coraggio, ma spesso si ottiene il contrario. Come quando a parole si vorrebbe risvegliare grinta e determinazione senza scoprire perché mancano, e l’allievo, che non sa in che modo se li può dare, sviluppa paura e indecisione. Esalta la forza dell'avversario e parla di gara, difficile e da vincere a tutti i costi e, in entrambi i casi, stimola la paura di perderla. Sopravvaluta un allievo chiedendogli più di quanto possa dare, o ne rileva i limiti perché reagisca con l'orgoglio. Lo carica di raccomandazioni che gli tolgono sicurezza e lo convincono che non ce la potrà fare. Teme che la squadra si afflosci nelle gare facili, e parla dell'attenzione da prestare, del rischio di figuracce, d’impegno per non prendere la gara sottogamba o dell'obbligo di vincere, una condizione che, se non è insita nel carattere, non si può ordinare.

Le cause della mancanza di coraggio e di decisione vengono anche da lontano. Per esempio, l'abitudine a giocare solo per vincere già con i bambini fa sì che una volta raggiunto il risultato, si giochi subito un'altra gara per non perdere, nella quale non contano più le proprie forze, ma quelle dell'avversario per poterle neutralizzare. La condizione più appagante e meno faticosa, però, è giocare sempre al meglio e sapere come fare per riuscirci, una disposizione va insegnata già nelle giovanili. Qui ogni gara e, addirittura, ogni azione dovrebbero servire sempre per imparare e ottenere il miglior risultato di là della forza dell'avversario o del risultato già acquisito, che non richiede frenesia ma lucidità, ed è più appagante e meno faticosa di una gara che non si sa affrontare.

Vincenzo Prunelli

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