Le domande dei genitori

Se poniamo margini troppo netti ai figli, non rischiamo di limitarli?

Vanno bene le regole, ma oggi è troppo difficile trasmetterle e pretenderle.

Ai figli non dobbiamo far mancare l’apprezzamento per gli sforzi e le intenzioni anche quando non raggiungono i risultati che ci aspettiamo, ma poniamo i margini che ri­teniamo giusti. Questa coerenza può procurare disagi a noi e a loro, ma se li premiamo quando non hanno meriti, li circondiamo di entusiasmi immotivati o ci limitiamo a perdonare invece di aiutarli a capire i motivi degli errori e delle trasgressioni che commettono, sbagliamo allo stesso modo di quando siamo troppo rigidi.

Si considera ancora, o forse sempre di più, l’acquisizione delle regole un doloroso sacrificio, e l'osservanza un limite alla creatività e, all’intraprendenza. Può essere anche così, ma solo quando le trasmettiamo troppo tardi, dopo che abbiamo ammesso e convalidato compor­tamenti e vantaggi ai quali ora i figli devono rinunciare. Quando non le presentiamo come modi di essere e comportamenti abituali, così che non le assumono come abitu­dini che regolano l'attività senza opprimerla. Oppure, quando noi stessi non le osserviamo e pretendiamo che le osservino loro, ma così non siamo modelli credibili ai quali si possano uniformare, e li portiamo a opporsi alla nostra incoerenza.

Non basta, quindi, trasmettere delle regole o sperare che le assumano da soli. Se non vogliamo trovare opposizioni o indifferenza, dobbiamo adottare precisi metodi e attenzioni. Per esempio, teniamo conto del momento di sviluppo. Non attendiamoci risposte già troppo evolute, ma non aspettiamo troppo perché il carattere assume connotati già defini­tivi fin dai primi anni di vita, e dunque i figli devono osservare certe regole ancora prima di capirle. Creiamo un clima educativo nel quale chiediamo e offriamo in modo esplicito, così che i figli capiscano dove sono liberi di fare e decidere e dove, invece, devono stare dentro precisi margini. Questa chiarezza li libera da tanti dubbi e dalla paura dell'errore, li autorizza a rischiare anche l’errore e li predispone ad accettare le nostre regole.

Accettiamo e discutiamo gli errori e apprezziamo i tentativi quando i figli mostrano un impegno produttivo e hanno obiet­tivi validi, ma pretendiamo che facciano tutta la loro parte per correggersi. Ammettiamo e correggiamo i nostri errori, affinché non si confondano e non ci sentano lontani. Siamo disponibili a un confronto obiettivo di idee e di opinioni e, quando è il caso, riconosciamo la validità delle loro, fino a metterle in pratica senza sentirci sminuiti o voler affermare in qualche altro modo il nostro ruolo. Infine, evitiamo gli interventi ri­gidi e predeterminati, non attendiamoci risposte ripetitive, rifiu­tiamo schemi fissi e sforziamoci di adattarci ai loro limiti e ai contributi, anche modesti, che ci sanno portare.

Nell'educazione, infine, dovremmo applicare un programma che preveda, come prima necessità, che i figli si abituino a ri­spettare tutte le regole che sono loro proposte e che, in tempi successivi, le critichino, le adattino per renderle più funzionali e contribuiscano a farle evolvere. Per esempio, possiamo allenare un bambino di pochi mesi, o addirittura di poche settimane, a pla­care il bisogno continuo di essere assistito solo non accorrendo a qualsiasi suo richiamo. A un ragazzo possiamo ancora chiedere comportamenti particolari e porre limiti precisi, anche se sarebbe più opportuno concedergli anche margini di libertà da amministrare da solo. A un adolescente, invece, dobbiamo permettere, dentro margini ben definiti, di adattare le regole ai propri caratteri e obiettivi.

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