Uno sportivo famoso non dovrebbe mai andare in crisi. Un po’ per tutti, ma in particolare per il tifoso, il critico sedentario o l’indignato, non può: guadagna, è costato molto, fa una vita dissoluta è un immaturo oppure, semplicemente, non s’impegna o non è riconoscente.

Ho in squadra un ragazzo che non riesco a frenare. È indisciplinato, altezzoso e, se lo correggo, anche impertinente. Se gli voglio insegnare un gesto tecnico, lo esegue come vuole, e a volte in modo più efficace, ma influenza anche gli altri che cercano di imitarlo ed io sento quasi di non essere più seguito.

Qualcuno dice che non mirare oltre i limiti sia un freno alle ambizioni, l’accontentarsi di poco, lasciare possibilità inespresse o favorire l’appagamento. Parlare di normalità come del massimo dell’efficacia, quindi, va contro il pensiero comune che la ritiene contraria all’ambizione, ma rischiare critiche vale la pena, perché chiedere a un giovane più di quanto possa dare, è uno degli errori più negativo della nostra epoca.

Prefazione del libro “Calcio: formazione dell’atleta. Dai primi calci al professionista”, 1994. Sergio Vatta e Giovanni Trapattoni sono stati i primi allenatori con i quali ho parlato, e dai quali sono riuscito a farmi capire, del metodo di formazione e conduzione dei campioni dello sport.

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