Sembra che un allenatore duro, la vittoria con qualsiasi mezzo e gli stimoli che aumentano l’eccitazione e la tensione siano gli strumenti più importanti di uno sportivo. Sarà vero?
Si dice che il succo dello sport siano l’adrenalina, l’impeto agonistico, i muri che tremano, la carica, la rabbia o la cattiveria, ma forse sono più importanti altre qualità. Se ne parla poco, perché sembrano implicite, si crede che lo sportivo sia una macchina alla quale basta dare un comando o inserire un programma per avere una precisa risposta o, più semplicemente, si cura la prestazione senza formare chi la realizza. Forse è un miraggio ma sicurezza, autostima, autonomia, consapevolezza delle proprie forze, coraggio e iniziativa sono le qualità da favorire e sviluppare per avere lo sportivo vero. Non è facile e non del tutto possibile, ma parlarne può servire almeno per riflettere.
Come formare lo sportivo? L’istruttore apprezzi e valorizzi le capacità reali, senza illudersi di operare su qualità inesistenti. Riconosca i caratteri specifici, le potenzialità, la tenacia e la capacità di produrre e proporre, che consentono di capire come impara e dove può arrivare. Regoli il livello dell’insegnamento, così da stimolare la partecipazione e capire quanta libertà concedere perché vada oltre ciò che ha imparato e usi ingegno e creatività per trovare le soluzioni possibili al suo talento.
È sempre l’istruttore che insegna, ma non dia soluzioni o tracci sentieri rigidi. Lo aiuti a scoprire le proprie qualità, e dopo vigili perché proceda su un terreno che solo lui può esplorare. Il discorso sembra poco chiaro, ma basta pensare che il talento è un tratto personale che l’allievo sviluppa creando soluzioni di fronte a situazioni nuove e impreviste o per mettere in atto azioni dettate dalla sua iniziativa. Per chiarire meglio, un giovane che si limita a eseguire senza metterci del proprio e del nuovo, non va oltre ciò che gli può essere insegnato. È un limite, quindi, agire sulle qualità e sui caratteri di oggi come fossero definitivi, come fa la specializzazione precoce, che tratta tutti allo stesso modo e non cerca ciò che c’è in ognuno.
Si può pensare che lasciare un giovane a gestire ciò che è soltanto suo significhi non seguirlo, ma ci sono margini che rafforzano l’intesa con l’istruttore. Innanzitutto, chieda solo ciò che è possibile ai mezzi di cui dispone, perché pretendere di più soffoca le motivazioni. Per esempio, aspettarsi che imiti il campione significa valutarlo per ciò che gli è impossibile, invece di rassicurarlo anche per il poco che riesce a fare, così che acquisisca sicurezza per i miglioramenti e provi anche il nuovo e lo sconosciuto. Non pretenda solo la vittoria, che non prepara a digerire le sconfitte, impone azioni obbligate e porta a escludere l’iniziativa personale, oppure a scegliere un agonismo non lucido e fatto d’irruenza, trucchi e scappatoie, che sono ostacolo alla creatività e all’apprendimento. Infine, poiché è troppo difficile nascondere almeno la delusione o un giudizio negativo, fa mancare lo stimolo dell’apprezzamento.
Che fare, allora? Innanzitutto, non cerchi di adattarlo a un modello ideale, mai raggiungibile, ma porti ognuno a sviluppare il proprio, che è sempre più efficace. Proponga solo richieste realistiche e traguardi raggiungibili, perché si senta più sicuro e si fidi di fronte all’imprevisto. E gli attribuisca tutti i riconoscimenti positivi che si conquista, senza paura che si appaghi o assuma libertà inopportune.
E se non risponde? L’intesa si crea quando l’istruttore è una figura guida. Quando vive un rapporto alla pari anche con esperienza e competenze diverse. Parla “con”, come si legge meglio sul sito Nuovosportgiovani, lo assiste senza dare soluzioni, perché deve imparare a trovarle da solo, ma lo aiuta a capire i propri problemi. È sempre chiaro, dà valutazioni realistiche e veritiere e valuta le intenzioni e l’impegno prima dei risultati e concede tutta la libertà d’iniziativa che man mano è in grado di gestire.
E come fare perché non trasgredisca? L’istruttore conceda tutti i diritti e pretenda l’osservanza di tutti i doveri che gli competono, in modo che eserciti la libertà e l’iniziativa che sa gestire, ma lo ritenga responsabile di ogni suo errore, comportamento e trasgressione, e in grado di tollerarne le logiche conseguenze.
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