Formazione

Il talento è inquieto perché sente di valere più degli altri, patisce un insegnamento che non lo valorizza, a volte non si adatta a compiti che gli sembrano banali o mortificanti per le sue qualità. Spesso non si adegua alle esigenze comuni per una vitalità o un’esuberanza che contrastano con gli interessi collettivi. Ha una vivacità creativa che, se non espressa o soffocata, si trasforma anche in insicurezza o in inquietudine ribelle. Infine, può patire anche il successo, come credere di poterlo sempre avere o vivere nel terrore di perderlo.

Le attenzioni per il talento

Nello sport, il talento può trovare più soddisfazioni degli altri, ma la sua dotazione gli può procurare più insoddisfazione e delusioni. Ha più ingegno e non sempre lo può esprimere, e spesso lo deve frenare. Deve segnare il passo ed è penalizzato, poiché il livello d’insegnamento e di attività è regolato sulla media degli altri, che altrimenti non riuscirebbero a seguirlo. Soffre, perché non è capito, e intanto non può manifestare e allenare le qualità soltanto sue.

Si trova spesso ad avere a che fare con uno sport che gli offre indicazioni indiscutibili senza poterle valutare, modificare e adattare alle proprie qualità. Qualcuno può dire che questo è l’insegnamento, ma il talento, che deve sviluppare una dotazione particolare e soltanto sua, ha bisogno di capire, criticare, modificare e inventare qualcosa di diverso e più efficace, perché ciò che si chiede a tutti deve essere adatto anche ai meno dotati. Sarebbe, quindi, frenato, altrimenti dovrebbe giocare da solo e non imparerebbe nulla dagli altri.

È costretto a imitare ed eseguire disposizioni e ordini uguali per tutti e pensati da una mente sola, ed esercizi ripetuti finché sono sempre più simili a quelli richiesti. Anche in questo caso si potrebbe dire di avere raggiunto l’obiettivo, ma non sarebbe meglio pensare che se ognuno avesse fatto quello adatto ai propri mezzi avrebbe fatto meglio di una riproduzione, o che magari avrebbe scoperto di essere anche lui un po’ talento. Per spiegare meglio e senza scomodare paragoni impossibili, tanti sono capaci di copiare bene la Gioconda, ma non l’arte che ha impiegato Leonardo. E poi, se chi ha copiato avesse anche messo qualcosa di proprio e di originale non avrebbe raggiunto Leonardo, ma avrebbe potuto fare qualcosa di meglio e più vivo di una fotocopia.

Trovare sempre qualcuno, a casa, sulle tribune o in campo, che gli impone di fare le cose che gli permettono di vincere adesso. Sono ripetizioni di gesti imparati, ma non creati o, spesso, anche violenze, trucchi e furberie che subito impediscono di scoprire e sviluppare le doti individuali e, in ogni caso, non avranno sviluppo. Ci sarà qualcuno che sanzionerà e metterà ordine, ma una formazione che si regoli ancora su questi metodi è il peggior freno per un talento. Lo costringe ad adattarsi a uno sport che non lo soddisfa anche quando gli permette di sentirsi il migliore e, addirittura, non gli permette di sviluppare tante potenzialità soltanto sue che saranno destinate a estinguersi. Gli fa perdere momenti dell’apprendimento o, meglio, dello sviluppo, che non si ripresenteranno e lo lasceranno incompleto. Lo abitua a misurarsi su modi che non sono suoi e che al violento e al furbacchione riescono meglio. In pratica, dimentica che è una pura potenzialità capace di straordinari sviluppi, ma anche di fallimenti e disadattamenti altrettanto manifesti.

Sembra di condannare l’istruttore, ma occorre tenere conto che il talento spesso inganna. Quando arriva allo sport, colpisce per la facilità e la disinvoltura con le quali soddisfa le richieste e riesce dove gli altri stentano. Impara con facilità, e non ha bisogno di essere stimolato, perché lo fanno i successi e l'entusiasmo che provoca. Accontenta tutti e, a volte, si appaga fino a perdere l’incentivo di scoprire il nuovo e impegnarsi a migliorarlo. È la carta vincente, ed è quasi naturale concedergli libertà e spazi eccessivi fino a essere ridimensionato con l'aumentare delle difficoltà e delle richieste dello sport.

Infine, teniamo conto che, il talento si aspetta la stessa considerazione alla quale è abituato, ma va così quando si vince. Quando, invece, si perde, l'ambiente non solo rifiuta di trattarlo come prima, ma risponde incolpandolo e riservandogli difficoltà e frustrazioni che non impone agli altri.

Vincenzo Prunelli

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