Salute

Mia figlia ha un lieve deficit fisico e vorrebbe fare sport. Perché non sviluppi complessi d’inferiorità, faccio in modo che non si debba confrontare con gli altri nello sport e cerchi altri campi in cui potersi valorizzare.

Perché chi ha un handicap fisico, ma s’impegna a usare i propri mezzi fin dove è possibile, dovrebbe sentirsi umiliato se accetta di confrontarsi con gli altri e, quando è il caso, di riconoscere la loro maggiore abilità? Un handicap, specie se lieve, può dare qualche disagio o anche mettere alla prova, ma non conduce di per sé a complessi d’inferiorità. II peso psicologico di un deficit che non permette tutto ciò che si vorrebbe, infatti, dipende dalla valutazione che ne fa chi lo porta e dalle reazioni dell'ambiente. Vediamo ragazzi che superano la propria inferiorità fisica intensificando l'impegno in altri campi, per esempio in quelli intellettuali e, così facendo, raggiungono un armonico sviluppo della personalità; e, spesso, che lo sforzo per superare un handicap si trasforma in una molla per raggiungere successi superiori a quelli degli altri.  

Questa ragazza non ha bisogno di aiuti e soluzioni particolari, ma di non essere oppressa dall'apprensione dei genitori, che devono apprezzarla, e abituarla a valutarsi, per quanto real­mente può dare, e portarla a capire che la soluzione dei suoi disagi dipende da quanto fa per superarli. Il loro compito, quindi, non è tanto importante per ciò che fanno, quanto per gli errori riusciranno ad evitare. Non mettano, quindi, in primo piano il suo limite fisico continuando a difenderla da presunti effetti. La chiamino, come si fa con chiunque altro, a scoprire e sviluppare tutte le potenzialità di cui di­spone, invece di costringerla a soffermarsi solo sui difetti. Creino occasioni in cui si possa confrontare con gli altri, senza cercare solo quelle che la possono favorire, ricordando che la ra­gazza magari vuole anche solo partecipare senza curarsi dei ri­saltati. Non le impongano obiettivi e traguardi sproporzionati e irragionevoli in altri campi allo scopo di "nascondere la mutilazione". Evitino, in modo ancora più attento, di spianarle la strada offrendole la possibilità di vittorie che la compensino del suo handicap, e le riconoscano solo i meriti reali. Le offrano la ne­cessaria pluralità di campi e di obiettivi dove possa sperimentare le capacità di cui dispone, qualunque sia la loro misura, e non le presentino le situazioni come eventualità che prevedono solo la vittoria o la sconfitta, ma come occasioni per misurare le proprie forze e sviluppare rapporti armonici con gli altri.

In caso contrario, accresceranno il peso del suo handicap, e i con­seguenti sentimenti d’inferiorità man mano diventeranno sempre meno superabili e prenderanno forma definitiva in un affannoso desiderio di superiorità, fino a sfociare in una rivalsa ostile verso l'ambiente e in un sempre rinnovato bisogno di compensazioni.

In conclusione, un genitore che voglia aiutare un figlio a non patire un handicap e lo voglia rispettare, deve avere chiare due regole. La prima, di chiedergli solo ciò che può dare, ma tutto, senza sconti o concessioni che lo farebbero sentire ancora più diverso. E, la seconda, di non costringerlo a confrontarsi in campi nei quali gli altri possano sempre batterlo e trasformarlo in un continuo sconfitto.

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