La cannabis non è innocua. Non è accanimento contro qualcuno, ma difesa dei giovani. Da una trasmissione in cui si commentava il suicidio di un giovane.
Ho provato un senso di sconforto, cosa che la mia professione mi consente di rado, ma vedere certa fatuità non è facilmente digeribile.
Innanzitutto, quale differenza tra la dignità composta di una madre sofferente e uno che qualche volta ci ha anche rappresentato! Non l'ho sentito proporre o esprimere opinioni non demagogiche, e quindi ha parlato solo pro domo sua.
È giusto che ognuno possa esprimere le proprie opinioni, ma occorrerebbe vietarle a chi non ne sa prevedere gli effetti. Per esempio, far credere che un bambino possa diventare adulto senza regole, comportamenti e valori trasmessi dall’adulto, e quindi offrirgli troppo presto poteri che non sa gestire, è la scelta peggiore.
Il saputone in questione è uno di quelli che condannano e si oppongono, in lotta con chiunque abbia il compito di educatore, che non può permettere tutto. Ha confuso la libertà con la trasgressione impunita, il rischio, degli altri però, come prova di emancipazione e di coraggio. Vede maturi anche i bambini, ma se hanno bisogno di imparare significa opprimerli e privarli della loro libertà? Dice che la cannabis è innocua, ma non è certo una medicina. È ancora convinto che un po’ si possa trasgredire e assaggiare il rischio senza pericolo, il famoso “smetto quando voglio”. Ogni adulto l’ha detto migliaia di volte prima per protagonismo e poi come rassicurazione senza valore. Qui si parla di ragazzi che hanno saltato lo sviluppo del senso critico per colpa di tanti che li hanno convinti che non sarebbe servito, perché si deve vivere secondo il "faccio quello che voglio”.
È un soggetto che pone dei dubbi. È ignoranza o indifferenza non sapere che la anche la cannabis produce danni e prepara tanti a passare a droghe più pesanti? Che i giovani sono influenzabili da chi fa capire che fumare è il percorso per diventare adulti? O credere che dare argomenti e giustificazioni a ragazzi cresciuti male e con poco senso critico serva per renderli liberi. A Torino si è tenuta una manifestazione pro cannabis libera intitolata “Fuma parèi”, che in dialetto vuole dire “facciamo così”, ma anche “fuma così”. Si poteva intendere in un modo solo, perché giravano volantini con le istruzioni per coltivare le piantine, si offrivano dei semi per iniziare la coltivazione e s’indicavano le marche di macchinari per estrarre la marijuana. Ho anche letto di una sciocchina che scriveva: “Siamo in un mondo di vecchi rimbambiti che non hanno ancor capito che il mondo va avanti così, ormai lo sanno tutti”. Ragazza mia, sono l’insicurezza, l’inconsistenza e un radicato conformismo che non ti fanno capire che il mondo può andare come vuole, ma la vera vita adulta è fatta di scelte e decisioni personali.
Le colpe?
Dei finanzieri, che hanno svolto un compito a favore di tutti. Sono andati a portare un aiuto a una madre disperata, com’è il loro compito e dovrebbe essere la richiesta di tutti. Poco tatto? Chi li aiuta a impararlo? E poi, che cosa vorrebbe dire “tatto”, quando c’è tutto un mondo, compresi tanti genitori, pronti a crocefiggerli perché hanno spaventato la creatura. È avvenuto al Liceo Virgilio di Roma perché avevano osato chiedere i documenti a un ragazzo più grande che spacciava a un quattordicenne.
Del proibizionismo che, quando è uno slogan politico vuoto o uno stereotipo di cui non si sa bene il significato, c’è da dubitare. Fare qualcosa per allontanare i giovani dalle occasioni di contatto e dallo sballo, e salvarli dalla dipendenza e peggio, è davvero così rozzo e demodé? O non è un pretesto di adulti non finiti inventarsi un’offesa per essere autorizzati a opporsi e dimostrare così il proprio valore?
Oppure dei genitori, che non sanno comunicare e farsi ascoltare. Si può pensare che se ce la facessero li incoraggerebbero a drogarsi? Ci sono almeno due cause. La prima è l’abbaglio di un’educazione che cerca di soddisfare, giustificare e incolpare sempre altri se un figlio non risponde alle attese, spesso sproporzionate, alle quali è sottoposto.
È ovvio che un giovane non allenato all’autonomia e alla responsabilità sia fragile e confuso, e facile preda delle soluzioni troppo semplici. La seconda, si sono trovati da soli a gestire figli imbambolati da cattivi maestri. È facile schierarsi dalla parte dei giovani liberandoli da impegni, responsabilità, osservanza delle regole e dall’obbligo di pagare le conseguenze dei propri comportamenti. In pratica, chi educa deve pretendere, ma è diventato un tiranno e ha perso autorevolezza, perché mettersi contro chi li convince di avere solo diritti è una guerra subito persa.
I rimedi del nostro saputone?
Troppo facili. Si limita a vedere i limiti di ciò che si fa per dire che nulla va bene o lanciare i soliti proclami superficiali. Le forze dell’ordine sono brutali, i genitori non dialogano e, invece di lasciar fare, pretendono anche.
Che cosa propone? Basterebbe fare ciò che non si fa, ma che cosa? Dire ai genitori di non proibire nulla, e insegnare che permettere tutto è il percorso verso una vita adulta libera, felice e senza inutili noie?
La sua logica direbbe che basta lasciare che un bambino scelga liberamente se vuole drogarsi o no, ma non dice nulla su chi sta decadendo senza riuscire a fermarsi. Mai sentito di ragazzi che sono passati completamente dalla sigaretta alla canna e, poi, ad altro?
E la famiglia?
Le ha tentate tutte e non sopportava più di vedere il figlio perdersi. Non c’è altro da dire, se non essere dispiaciuti del suo dolore e ammirati della sua dignità.
A chi trovasse interessante il “pensiero” dell’innominabile saputone, mi permetto, infine, di rivolgere un umile consiglio. Leggano, a proposito degli effetti deleteri della cannabis sugli esseri umani, quanto scritto nel "Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali" dell’Associazione americana di psichiatria DSM-5 nelle pagine 606-608.
Edizioni Cortina, Milano 2014
Un dubbio. Chissà, con la mia formazione di esperto della mente potrei fare il calcolo del cemento armato di un grattacielo? Meglio di no. Temo che qualsiasi architetto si metterebbe a ridere.
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