Salute

Questo argomento può sembrare fuori luogo nello sport giovanile, ma poiché la vita sportiva volta al risultato comincia molto presto, è lecito porsi una domanda: un genitore che avvii il figlio a uno sport di alto livello deve prepararsi al rischio di vederlo drogato prima che arrivi a una gara vera?

Sembra che nello sport si droghino solo gli adulti, ma spesso la pratica inizia tra i giovani, prima di arrivare a una gara che conti. E senza tornare all'esempio di certi Paesi, che facevano entrare già i bambini in una precisa programmazione "di rinforzo" che li doveva portare fino allo sport di alto livello. Qui parliamo di sport giovanile dilettantistico, dove sarebbe assurdo drogare un ragazzo per farlo rendere più tardi, da adulto, e dove, nonostante gli errori e certe disattenzioni, non possiamo immaginare un allenatore che giochi con la salute di un ragazzo per una vittoria.

Diceva una ragazza con sicure possibilità di essere selezionata tra i probabili olimpionici di nuoto di essere stata accompagnata in una stanza dove, su un tavolo, erano allineati alcuni tubetti di farmaci. Le fu spiegata l'indicazione e la posologia di ognuno e le fu chiarito che quello era comunque un passaggio obbligato per andare alle Olimpiadi. La ragazza lasciò lo sport, e adesso lo pratica solo per divertirsi.

Parliamo di giovani e non di professionismo, e quindi vediamo il doping solo come uno strumento per condurre l'atleta oltre le sue possibilità, una scorciatoia per arrivare dove non si sa come arrivare con le proprie forze, e quindi per usarlo subito per un agonismo vincente che aprirà tutte le porte. Qui vediamo la prima spiegazione della sua diffusione, perché, come dice chi lo usa, senza doping in tanti sport non si vince, e anzi, non si arriva mai.

Possiamo considerare due categorie di doping: quello "innocente", che agisce come semplice suggestione, e quello "vero", che incide sulla salute e altera il funzionamento o la forma dell'organismo. Pensiamo agli eccitanti, che possono mascherare l'intossicazione da fatica fino alla morte dell'atleta, o agli anabolizzanti e agli inibitori della crescita, responsabili di mostruosità fisiche e di lesioni irreversibili. O a quei farmaci "leciti", ma usati in dosi massicce e al di fuori della loro funzione terapeutica, e a volte solo per mascherare le sostanze proibite ed eludere i controlli.

Forse non esiste un doping innocente. Anche sostanze innocue, ma presentate come soluzioni di cui non si può fare a meno, e certe manipolazioni troppo disinvolte della psiche dell'atleta possono essere forme di doping. Regalare l'illusione della grandezza, dell'imbattibilità e del successo e legarla all'assunzione di una sostanza, anche se innocente, non sono interventi innocui: in una mente fragile, che si affida alla suggestione, sono stimoli a cercare altre sostanze sempre più potenti.

Il doping cattura personalità predisposte? Se è ricorso a qualcosa di estraneo e magico, uno stimolo o una rassicurazione per arrivare dove si potrebbe arrivare lo stesso, chi ne ha bisogno è un individuo facile al plagio, non consapevole di sé e delle proprie qualità, che non esiste per ciò che è, ma per l'immagine di sé che riesce a proporre, anche se falsa e irreale. Per un altro verso, é un soggetto con disturbi del carattere che vuole tutto e subito, senza prevedere gli effetti di ciò che sta facendo e disposto a tutto pur di arrivare alla vittoria.

Ma nessuna definizione è del tutto esauriente. Dobbiamo, ad esempio, anche considerare chi ne fa un uso occasionale per raggiungere gratificazioni altrimenti impossibili o chi si deve adattare per non essere escluso. Chi ricorre al doping, quindi, non appartiene a una particolare tipologia. Forse ancora oggi, nello sport, il bambino viene scelto, blandito e pilotato, finché capisce che non si va a giocare, ma si va a vincere, e che senza il doping non ce la può fare.

Le cause? L'individuo, che cerca di compensare profondi sentimenti d’inferiorità che non riesce a risolvere con le proprie forze. Il bisogno non appagabile di successo, il rifiuto del proprio corpo, la disponibilità a bruciare il futuro per una vittoria, l'incapacità di tollerare l'ipotesi della sconfitta sono fuga da un'immagine e da un giudizio di sé che non si riescono ad accettare.

L'ambiente, che propone una competitività eccessiva e spinte culturali verso un successo superiore alle proprie risorse, il dover arrivare oltre il proprio massimo, la vittoria come unica via per valorizzarsi e la sconfitta come dramma e fallimento di tutta la persona o l'uomo trasformato in strumento da usare.

Lo sport con i suoi miti: la richiesta sempre più affannosa di risultati da parte di tutti, allenatori che preparano la prestazione, ma non un individuo che la sappia realizzare senza doping, lo sport spettacolo, che è competizione esasperata, essere tutto o non essere niente, il rifiuto di un atleta pensante e la convinzione di doverlo ammaestrare come un purosangue bizzoso. Oppure allenatori che lo rifiutano, ma tentano di stare al passo in altri modi fino a imporre sollecitazioni che l'atleta non può tollerare e a opprimerlo con le stesse pressioni.

Infine, un genitore non appagato, che carica il figlio di tutte le proprie attese deluse e lo prepara, con il ricostituente, il cibo speciale per la prima gara a scuola o le pillole per la memoria, a credere di non potercela mai fare da solo.

Perché il bisogno di doping può diventare inestinguibile? Perché indebolisce le facoltà razionali e crea dipendenza fisica e psicologica: allontana l'individuo da sé e dai suoi mezzi e lo rende più debole e vulnerabile, sempre meno sicuro di trovare dentro di sé ciò che occorre per vincere. Le prime volte è un aiuto, ma rapidamente occupa il posto della sicurezza e diventa indispensabile come i vari riti scaramantici o le "cariche", che alimentano l'insicurezza, ma occupano quello spazio della psiche dell'atleta che, altrimenti, sarebbe invaso dall'angoscia di non sapere a cosa e a chi affidarsi. Perché prima serve per essere scelti, poi per vincere e, infine, per confermarsi o per arrivare dove non arrivano, o non sono ancora arrivati, gli altri. La stessa vittoria non estingue il bisogno, ma lo accentua. Essa, infatti, è inscindibilmente legata alla necessità di una riconferma: al desiderio del successo subentra l'angoscia di perdere la condizione magica di vincitore. L'obiettivo, quindi, non é la vittoria, ma la necessità di una continua verifica di sé e l'urgenza, mai appagata, di superare profondi sentimenti d’inferiorità.

 

 

 

 

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